Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La denuncia prima di morire: lui mi controlla
Così a ottobre Tanja descriveva ai carabinieri il marito che l’avrebbe uccisa
VICENZA «Zoran è cambiato: ora è diventato avido, violento. E mi controlla». Così, a ottobre, Tanja Dugalic descriveva ai carabinieri il marito che venerdì l’ha uccisa a colpi di pistola, nel Vicentino.
LONIGO (VICENZA) «Zoran è cambiato», ripeteva Tanja Dugalic ai carabinieri che, nell’ottobre scorso, si ritrovarono questa 33enne in caserma, decisa a denunciare suo marito.
Ai militari, la donna raccontò tutta la sua storia («Sono nata in Serbia e sono giunta in Italia nel 2005; lo stesso anno ho sposato Zoran Lukijanovic, abitiamo a Orgiano...») ma soprattutto confidò l’angoscia di vivere accanto a quell’uomo che undici mesi dopo, venerdì scorso, le avrebbe teso un’agguato nella zona industriale di Lonigo (Vicenza) uccidendola con tre colpi di pistola, prima di suicidarsi.
Nella denuncia, che poi spinse il magistrato a emettere nei confronti del serbo un divieto di avvicinamento, Tanja spiegava ai carabinieri che «ho deciso di rivolgermi a voi perché da anni sono vittima dei soprusi di mio marito, ai quali ho deciso di porre fine». Il linguaggio è quello sobrio e rigoroso degli atti giudiziari. Ma emerge la lenta discesa all’inferno della famiglia Lukijanovic. «I primi anni di matrimonio sono filati via lisci senza problemi, improntando il nostro rapporto di coppia nel reciproco rispetto. Poi, invece, Zoran è cambiato mostrando il vero volto del suo carattere che fino ad allora era riuscito a mascherare - assumendo le sembianze di una persona avida, possessiva e violenta».
Fa risalire questo mutamento al 2007. «All’epoca facevo l’operaia e un giorno, improvvisamente, mio marito si era presentato sul posto di lavoro e mi aveva insultata pesantemente perché quella mattina avevo usato la sua auto per raggiungere l’azienda, come del resto avevo fatto anche in passato. Quella discussione mi aveva scosso, non solo per gli epiteti che aveva usato ma anche perché, da allora, ha iniziato a rivolgermi frasi sempre più ingiuriose».
Presto, le cose peggiorarono «ancora di più». «Controllava i miei spostamenti, rimproverandomi perché mandavo ciò che riuscivo a guadagnare ai miei genitori in Serbia. Mi accusava di ogni malefatta, anche quella di non avergli dato un figlio maschio, come se fosse dipeso dalla mia volontà...». Zoran la tormentava: voleva a tutti i costi un erede che tramandasse il suo cognome. Ne faceva un punto d’onore. Ma il destino aveva scelto diversamente. «Sono rimasta incinta nel 2011 e mio marito aveva sperato che si trattasse di un maschio. Quando ha saputo che era una femmina, aveva mostrato risentimento...». Non voleva saperne della bambina. «E la non accettazione di nostra figlia, ha eretto tra noi un vero e proprio muro, anche perché continuava a rimproverarmi di averlo distrutto e di non avergli dato quel maschio che desiderava».
Nell’appartamento di Orgiano, andava sempre peggio. «Nell’ottobre 2014, dopo aver accompagnato la bimba all’asilo, ho incontrato un’amica con la quale mi sono attardata a chiacchierare. Quando sono rientrata a casa, mi ha aggredita. Prima solo a parole, ma poi mi ha afferrata per il collo gettandomi a terra». Il parapiglia non era passato inosservato, e sul posto «giungevano i carabinieri di Sossano ai quali raccontavo l’accaduto. In seguito gli stessi militari avvicinavano mio marito per chiedergli conto dei fatti, e su loro consiglio ci calmavamo e io rientravo in casa». Ma ormai Tanja era terrorizzata. «Dopo quell’episodio ho preso contatto con il centro antiviolenza di Vicenza, anche perché Zoran faceva il camionista e durante la sua assenza per lavoro aveva iniziato a telefonare per insultarmi e minacciarmi. E lo stesso faceva nel fine settimana, quando tornava a casa...».
La denuncia si chiude con una richiesta d’intervento, rivolta alle Autorità. Un appello che non restò inascoltato, visto che nei confronti di Lukijanovic fu subito emesse un divieto di avvicinamento. Ma il resto, è la cronaca emersa in questi giorni: lui che a febbraio la convince a incontrarlo e la massacra di botte, che finisce in galera, poi ai domiciliari e infine scappa in Serbia, dove è rimasto fino a giovedì, quando è rientrato per tendere l’agguato a Tanja, il mattino successivo.
«Questa donna viveva in un clima di terrore intollerabile riflette Elisabetta Borsatti, l’avvocato alla quale si era rivolta Tanja - una situazione di maltrattamenti che è andata peggiorando di giorno in giorno».
Intanto, l’inchiesta si avvia alla chiusura. Ieri è stata eseguita l’autopsia sull’uomo e ora si attendono gli accertamenti disposti dalla procura sull’arma da guerra utilizzata per l’omicidio.