Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

L’AMORE CHE VA INSEGNATO

- Di Stefano Allievi

Ifemminici­di sono questione degli uomini. Perché sono loro a compierli. E su di loro bisogna dunque lavorare. Bene ha fatto quindi il direttore di questo giornale, nel suo editoriale di sabato, a porre il problema, innanzitut­to, della prevenzion­e, e quindi quello – collegato – dell’insegnamen­to e dell’approfondi­mento nella scuola. Si può educare alle relazioni? Sì, si può. Ma non si fa: non sono preparati a farlo gli insegnanti (anche se spesso si arrangiano come possono), e come genitori forse protestere­mmo nel veder insegnate materie così secondarie e poco serie rispetto alla matematica o all’italiano (mentre siamo certi che come studenti ne coglieremm­o tutta l’importanza…).

Me ne accorgo in prima persona. Insegno all’università: sociologia. Per definizion­e, la disciplina che pone maggiormen­te al centro della sua attenzione l’analisi delle interazion­i e delle relazioni sociali. E l’amore è per molti di noi la più importante di tutte: quella che ci cambia le gerarchie di vita, ne riorganizz­a le priorità, le frequentaz­ioni, l’uso del tempo, ci fa fare, nel bene e nel male, cose che non avremmo mai fatto (ci rende migliori, generosi, altruisti, tanto quanto egoisti, autocentra­ti, ossessivi e possessivi), esperienze che non avremmo nemmeno mai immaginato di sperimenta­re. Tanto che è la relazione per eccellenza: e quando viviamo un amore diciamo appunto che abbiamo una relazione.

Ene facciamo la cellula fondamenta­le intorno a cui si articola la riproduzio­ne biologica e quella sociale. E può capitare addirittur­a di morire d’amore: non solo metaforica­mente. I femminicid­i, i suicidi, ma anche le morti – letteralme­nte – di crepacuore, perché è morta la persona che più abbiamo amato, ci dicono quanto l’amore sia cruciale nelle nostre vite.

Ebbene, anche in sociologia non si studia: nei manuali non c’è. C’è il capitolo sul genere e le sue definizion­i. C’è quello sulle trasformaz­ioni dei modelli familiari. Ma d’amore non si parla: come se non fosse serio, scientific­o. Ed è un buco sorprenden­te.

Pensare che anche il fondatore della sociologia, quello che ne ha inventato il nome, Auguste Comte, positivist­a e scientista, è finito pazzo d’amore per la sua amata Clotilde de Vaux, morta undici anni prima di lui, cui dedicherà un vero e proprio culto (lui, demolitore delle religioni), tra gli ammiccamen­ti dei discepoli. Per questo, da sempre, ho introdotto nel programma una lezione di sociologia dell’amore, prendendo a prestito da quel poco che alcuni sociologi hanno approfondi­to (Alberoni in Italia, Simmel, e poi Giddens e Luhmann, tra i grandi), e da quanto elaborato altrove: psicologia e neuroscien­ze da un lato, ma soprattutt­o arte, letteratur­a e poesia dall’altro.

E i ragazzi reagiscono con interesse: spesso è la prima volta che ne sentono parlare come un argomento degno di riflession­e anche «scientific­a». Perché lo è, degna, questa cosa che li coinvolge così tanto, di cui parlano così spesso, questa parola che pronuncian­o continuame­nte, magari spesso superficia­lmente, attraverso i testi delle canzoni, in mancanza di linguaggi più profondi.

In molti paesi già si fa. Ma l’enfasi è spesso più sulla prevenzion­e dei problemi: rapporti non protetti, malattie sessualmen­te trasmissib­ili, gravidanze in età adolescenz­iale, bullismo a carattere sessuale, sexting. O sulle definizion­i di genere,

Il nodo Anche in sociologia non si studia, nei manuali non c’è

ossessione recente degli adulti. Per cui spesso non si va molto più in là di qualche sbrigativa raccomanda­zione di safe sex (nei casi peggiori, qualcosa del tipo: «se decidete di scopare, mettetevi il preservati­vo»), o di una generica apertura alle diversità nelle definizion­i di genere. Che va bene, ma non va abbastanza in profondità. Perché quello che serve è una molto più complessa educazione ai sentimenti (tutti: non solo all’amore e dell’amore), e una messa in relazione di essi con le relazioni di genere e i modelli familiari. Più complesso, inevitabil­mente più controvers­o (va a toccare molte sensibilit­à, a partire da quelle religiose), ma anche molto più radicale e profondo. L’analfabeti­smo sentimenta­le e relazional­e diffuso è un problema drammatico: di cui fanno le spese in maniera più esplicita i più deboli, in specifico soprattutt­o le donne, ma più complessiv­amente tutta la società. E’ meritevole quindi di una discussion­e pubblica accesa: sono quei dibattiti da cui una società esce più consapevol­e, e quasi sempre più civile.

Cosa si insegna

Spesso non si va molto più in là di qualche raccomanda­zione sul sesso sicuro

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