Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Addio a Lionello Puppi, spirito libero ultimo erede della grande scuola della storia dell’arte veneta
Centinaia i saggi di cui aveva trattato, decine e decine i libri pubblicati, con particolare attenzione all’architettura veneta e alla pittura del Cinquecento serenissimo. Si è spento sabato notte
Un’altra pietra miliare della cultura veneta ci ha lasciati da poche ore: è morto Lionello Puppi, storico dell’arte tra i più sapienti e fantasiosi, uomo di umanesimo e umanità, erede della grande scuola di storia dell’arte veneta che ha visto nomi quali Bettagno, Branca, Pignatti, Mazzariol lavorare intorno alla mitopoietica materia delle arti venete. Lionello Puppi negli ultimi anni non aveva affatto diradato i pesi e i ritmi della ricerca storica artistica. I temi e gli ambiti di cui si occupava erano estremamente vari e ampi — centinaia i saggi e i titoli di articoli di cui aveva trattato, decine e decine i libri pubblicati — ma il suo studio volgeva costante e particolare attenzione all’architettura veneta e alla pittura del Cinquecento serenissimo: Codussi, Sanmicheli, Palladio, Canaletto, Tiziano (ma anche El Greco, Niemeyer, l’arte sudamericana).
Puppi, che aveva 86 anni ed è scomparso nella notte tra sabato e domenica, aveva insegnato all’Università di Padova dal 1971 al 1990, con cattedre di Storia dell’Arte, Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica; dal 1991 è stato docente a Ca’ Foscari per gli insegnamenti di Storia dell’Arte Moderna, di Iconografia e di Iconologia. E in seguito è stato presidente del corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Era originario di Belluno e la sua attenzione per Tiziano si rifletteva in tanti dei suoi mirabili scritti, quasi come un gesto di affettuosa riconoscenza verso il conterraneo.
Studioso attento, indagatore filologico e insieme saggista dotato di vena creativa singolare, Puppi scriveva per il desiderio di comunicare accanto alla tesi, alla lettura critica di una certa opera anche — e forse con pari peso — il ritratto emotivo, l’avventura esistenziale dell’uomo/artista. Esemplare, quale misura di questo suo modo di coinvolgere il lettore nei meandri della creazione artistica, un passaggio tratto dalla monografia — risalente al 1973, la prima di tanta letteratura dedicata al grande architetto veneto — che Puppi scrisse su Andrea Palladio: «L’estremo gesto creativo di Palladio, l’Olimpico di Vicenza è un atto che testimonia, alle soglie del silenzio, la fedeltà alla lunga promessa; e vale, al di là delle circostanze dialettiche che ne avevano prodotto la formulazione e consentito l’esercizio al di là, anche, dell’umana volontà che con “amore” ne aveva sopportato la “fatica” —, l’offerta di un’emozione ignara d’usura e una lezione risonante nel tempo».
E’ nello stesso Teatro Olimpico di Vicenza che Puppi ambienta un’intervista impossibile ad Andrea Palladio, esausto di anni e tormenti esistenziali, in uno dei suoi libri più gustosi, Il re delle isole fortunate (Colla edizioni 2010), summa ideale di tutta l’appassionata vicenda intellettuale di Lionello Puppi. E poiché nella scrittura riuscita la forma e il contenuto coincidono, il suo stile di scrittura corrispondeva al suo sguardo critico: articolato, depistante, sghembo. Correva deliberatamente spesso il rischio di essere «scandalosa» la sua interpretazione delle cose, tanto si azzardava a scardinare l’ovvio, il concorde, il consolidato: così la sua preziosa visione delle cose giungeva nel Comitato scientifico della Fondazione Benetton Studi Ricerche come una ventata di intelligente spiazzamento, così a volte nelle grandi mostre da lui curate il suo apporto critico innescava, accanto a straordinario interesse, anche una vivace dialettica nell’ambito scientifico.
Tra le intense mostre — «grandi» non è l’aggettivo più consono poiché Puppi si schierava contro le cosiddette «grandi mostre», ritenute «commerciali» — più recenti basterà ricordare la splendida
Giorgione a Castelfranco Veneto nel 2010, curata con Antonio Paolucci e Enrico Maria Dal Pozzolo; la raffinatissima esposizione sullo Schiavone — pittore «fuori dal coro», come Puppi lo definiva con simpateticità — al Museo Correr nel 2015, ancora con Dal Pozzolo; l’ardita mostra su El Greco in Italia a Ca’ dei Carraresi a Treviso nel 2015. Proprio a proposito di quest’ultima esposizione, Puppi affermava di averne a lungo perseguito la realizzazione: da tanti anni stava sulle rarefatte tracce italiane di questo pittore, tanto misterioso quanto affascinante. Le polemiche che sorsero sulla scia di accostamenti di arte contemporanea azzardati e dalle attribuzioni non convincenti non cancellano, tuttavia, l’intensità di uno studio appassionato confluito in alcune pareti indimenticabili, come quella dedicata alle crocifissioni. In una pagina di Dottor
Jekill e mister Hyde dal già citato Il re delle isole fortunate,
Puppi scrive divertito: «Scagli la prima pietra chi, tra quanti s’applicano e praticano le discipline storiche, non abbia avuto la tentazione, almeno una volta, d’inventarsi, e magari fabbricare il documento capace di trasformare in dato di fatto incontestabile una paziente ma inappagante costruzione indiziaria: di chiudere definitivamente un’estenuante indagine».
Ma sapeva bene, Lionello Puppi, che l’ultimo e unico valore del suo «estenuante» studio era il rigore filologico: a quello per tutta la sua lunga e instancabile attività si è attenuto sempre, con l’intelligenza di uno spirito «fuori del coro».