Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Travolto dal muletto per fare parkour L’amico: «Avevo paura e sono sceso»

La nonna della vittima: l’aveva già guidato. La madre l’ha scoperto su internet

- Eleonora Biral (ha collaborat­o G. Bertasi) © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA «Io sono sceso, avevo paura». Su quel muletto ci erano saliti insieme. Cristiano lo manovrava e lui gli è stato accanto finché ha avvertito il pericolo e ha deciso di scendere. Qualche attimo dopo, il mezzo si è ribaltato e il ragazzino è rimasto schiacciat­o, travolto dal montante della cabina. Tutto per colpa di una manovra sbagliata, tutto a causa di una bravata che, probabilme­nte, non era la prima volta che faceva.

Cristiano Lucchini, veneziano di 13 anni, prima di domenica scorsa si era già introdotto abusivamen­te nel cantiere edile della Boscolo Bielo, lungo il canale della Scomenzera. Lo aveva fatto insieme ad altri suoi coetanei perché quello era il luogo ideale per praticare il parkour, una disciplina nata in Francia negli anni Novanta e che sta spopolando anche in Italia. C’è chi lo pratica a livelli estremi saltando da un tetto all’altro e chi, invece, come Cristiano è ancora alle prime armi. «Mi aveva detto che gli piaceva e io gli avevo risposto “Ma sei matto? Vuoi sempre fare cose pericolose” — racconta la nonna —. Era un ragazzo che amava l’avventura ma era molto intelligen­te». All’interno dell’area della Boscolo Bielo ci sono container, bancali, sacchi di cemento, un «parco giochi» perfetto. E a conferma che i ragazzini ci sono andati diverse volte ci sarebbero un paio di guanti utilizzati proprio da chi pratica questa disciplina che gli agenti della polizia municipale hanno trovato all’interno del cantiere, nell’area posta sotto sequestro dalla procura di Venezia dopo la tragedia, di domenica pomeriggio.

Cristiano insieme all’amico di 14 anni, figlio del compagno della mamma Roberta, era partito da casa, a Castello. «Sarebbe dovuto andare dalla nonna paterna a Santa Marta, mentre il suo amico avrebbe dovuto raggiunger­e la casa della mamma a Sant’Alvise. Prima, però, sono andati al cantiere», racconta la nonna di Cristiano con un filo di voce, mentre risponde alle telefonate, tiene d’occhio l’altra nipotina, Suami di tre anni, e a stento trattiene le lacrime. Ha appena steso la biancheria del 13enne, prende un paio di pantalonci­ni: «Non ci credo che sia morto. Era il mio amore». Cristiano e l’amico, una volta entrati nel cantiere, chiuso, sono saliti sul muletto. «Penso volesse fargli vedere che lo manovrava — aggiunge la nonna —. Le chiavi erano già attaccate». Da una prima ricostruzi­one, Cristiano avrebbe messo in moto il muletto e portato le fruste al livello di altezza massimo. Facendo alcune curve il mezzo si è sbilanciat­o e Cristiano ne ha perso il controllo, finendo per ribaltarsi. Una dinamica apparsa chiara fin da subito, anche se servirà una perizia per confermare quanto raccontato dall’amico sopravviss­uto che ieri, insieme alla polizia locale di Venezia, è tornato nel cantiere per un nuovo sopralluog­o, ancora sotto choc, per ricostruir­e l’incidente. «La sua mamma ha scoperto dell’accaduto dalla stampa e ha provato a chiamarlo, ma lui non rispondeva. Ha detto “Spero non sia mio figlio” — dice la nonna —. Poco dopo siamo stati informati dai vigili. Cristiano era un grande, voglio ricordarlo com’era, non voglio più vedere niente».

Il 13enne andava a scuola al Lido e aveva giocato a calcio e a basket. Voleva fare il veterinari­o, gli piacevano i cani e ne aveva uno, Tyson. «Un ragazzo bellissimo, gli dicevamo che assomiglia­va a Cristiano Ronaldo e si era tagliato i capelli come lui. E poi amava i motori». Ieri in tanti si sono fermati al civico 331 di Castello per fare le condoglian­ze alla famiglia. La mamma è partita al mattino presto, voleva vederlo. Il papà, che vive a Belluno, è arrivato a Venezia nella notte. Nei prossimi giorni sarà celebrato il funerale. La procura, infatti, non ha disposto l’autopsia.

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