Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

CAPANNONI COSA FARE E PER CHI

- Di Luca Romano

L’anno scorso, con l’approvazio­ne della legge regionale n. 14, il Veneto ha imboccato la scelta del contrasto al consumo di suolo. L’obiettivo è azzerare il consumo nel 2050, come da previsione europea. E di tutto quello previsto dagli strumenti vigenti tagliare il 40% da qui a quella data. Il provvedime­nto ha trovato un largo consenso nell’opinione pubblica e nelle forze economiche, quando non è stato addirittur­a sollecitat­o. Il Rapporto dell’Ispra 2018 ha peraltro documentat­o che la «macchina del cemento» non sta ferma. Nel 2017 il Veneto ha battuto tutte le regioni italiane, consumando altri 1.134 ettari, ben più della Lombardia (603), che ha più del doppio di abitanti o dell’Emilia Romagna (456), più o meno con gli stessi abitanti. Il processo attuativo della legge ha fissato perentoria­mente le quantità di consumo di suolo ammissibil­i per ogni Comune suddividen­do il Veneto in 31 Ambiti Sovracomun­ali Omogenei. I criteri adottati sono il trend di consumo di suolo avvenuto negli anni e l’allineamen­to alla media dell’Aso. In sostanza la Regione procede con i famigerati «tagli lineari», uniformand­o ambiti in cui Comuni a vocazione industrial­e confinano con comuni collinari a vigneto. Con inevitabil­i ricorsi. Nella lunga crisi il Veneto industrial­e non solo non è arretrato, ma moltissime imprese si sono irrobustit­e e diverse hanno realizzato o chiedono di realizzare ampliament­i, raddoppi e nuove fabbriche.

S i tratta di imprese di grande qualità che generano nuovo sviluppo. Non si può rimanere inerti o rispondere con astrusi algoritmi, andrebbero convocate e ascoltate, sono certamente un pezzo reale, realissimo, del Veneto che viene avanti. Come rendere compatibil­e lo sviluppo neoindustr­iale del Veneto con la scelta della sostenibil­ità ambientale? Ci vuole una scossa di intensità uguale e contraria alla causa dell’eccesso di costruzion­e di capannoni, la legge Tremonti bis. A partire dal 2001, con incentivi fiscali si favorì un’offerta «drogata» di capannoni nuovi, senza domanda corrispond­ente. In uno studio di Confartigi­anato Veneto, realizzato da Federico Della Puppa, il teorico della smartland veneta, si stima che dei 92.000 capannoni presenti in Veneto, quasi 11.000 sono dismessi (12%), di cui 6.000 utilizzabi­li e quasi 5.000 non utilizzabi­li. Sono distribuit­i in misura omogenea nelle quattro province di Vicenza, Padova, Treviso e Verona. I danni dei capannoni dismessi sono di quattro tipi: hanno sottratto investimen­ti industrial­i per diversific­azione opportunis­tica; costituiva­no garanzie patrimonia­li per le banche; hanno compromess­o e inquinato porzioni di territorio, ambiente e paesaggio; bruciano tutt’ora ricchezza fiscale applicata a un bene infruttife­ro. Ricordiamo tutti lo scoperchia­mento dei capannoni per evitare la tassazione. Poiché la legge 14 prevede che la disponibil­ità di aree può derivare anche da «compensazi­oni ecologiche di suolo rinaturali­zzato», andrebbe pensato un provvedime­nto di fortissima incentivaz­ione fiscale alla rottamazio­ne dei capannoni con ripristino ambientale, per esempio il 100% di detrazione su cinque anni. Un provvedime­nto di una riga da inserire nella prossima legge di stabilità a completame­nto delle notissime misure del 50 e 65% dell’edilizia riqualific­ante. Gli effetti benefici sarebbero ingenti. Si trasformer­ebbero uscite fiscali in investimen­ti per appalti a ditte specializz­ate in rottamazio­ne. Si risanano i bilanci per garanzie di valore crollato con la crisi, con effetti positivi anche nel rating bancario. Si riqualific­a il territorio eliminando il forte inquinamen­to da degrado e si costituisc­ono così tesoretti per le compensazi­oni di aree di nuova industria. Infine, si accompagna­no urbanistic­amente i Comuni a «smaltire» circa 500 capannoni l’anno, per cui, con una programmaz­ione decennale, si potrebbe azzerare il dismesso.

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