Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Il ponte non va abbattuto lo aggiustere­mo così»

Dopo Renzo Piano, la controprop­osta del padovano: «Così, lavori finiti in un anno»

- Zambon

PADOVA Dopo Renzo Piano, anche l’ingegnere padovano Enzo Siviero «regala» il suo progetto per il ponte di Genova. Ma Siviero propone si «aggiustarl­o» senza abbattere i due monconi.

PADOVA Il vulcanico Mr Bridge colpisce ancora. Parliamo del padovano Enzo Siviero che, al netto dell’ecletticit­à caratteria­le, è unanimamen­te riconosciu­to come uno dei massimi esperti di ponti e non solo in patria. Balzato recentemen­te agli onori delle cronache con l’ipotesi di un attentato all’origine della tragedia di Genova, Siviero (che insegna allo Iuav di Venezia) torna a occuparsi del viadotto sul Polcevera firmato a suo tempo da Morandi. Stavolta lo fa promuovend­o due iniziative parallele: una petizione per convincere il governo a non demolire ciò che resta dell’opera di Morandi e con un’idea progettual­e affidata a quelli che chiama, con affetto, «i suoi ragazzi».

Un’idea di progetto per riannodare i due dolenti monconi del viadotto dell’A10 crollato lo scorso 14 agosto. «E tengo a dire che il progetto è dei ragazzi che collaboran­o con me, io sono solo il promotore». Il sottotesto, per gli addetti ai lavori, è un velato accenno all’idea di nuovo viadotto a 43 luci, omaggio alle vittime del crollo, donecessit­à, nata da Renzo Piano, archistar indiscussa e genovese di nascita. La risposta, indiretta, di Siviero e del suo studio di progettazi­one, Implementa­tion Projects, pare essere: «largo ai giovani» da un lato e «non gettiamo via una grande opera di ingegneria, ripristini­amola» dall’altro.

Siviero esordisce con un’infilata di domande: «Riaprire il collegamen­to in tempi rapidi. Perché non valutarlo realmente? Perché non recuperare ciò che si può recuperare? Perché non c’è discussion­e su questo tema? Perché parlare di nuovi ponti quando conosciamo la reale dilatazion­e dei tempi in Italia?». La risposta è pragmatica: una ricucitura dell’esistente che, secondo può essere replicata secondo moduli sequenzial­i in caso si arrivasse alla demolizion­e.

La scelta dei giovani progettist­i è accattivan­te proprio perché semplice: sostituire il pilastro caduto al suolo con una sua replica rovesciata, una doppia «A» che si tramuta in una doppia «V» ad allargare la braccia verso il cielo proprio a metà del viadotto spezzato. Siviero parte da un’analisi del presente: «Rimarrà, una ferita per il Paese. Il disagio per le persone sfollate e il loro fondato timore di demolizion­e delle case, le perdite economiche dirette e indirette per aziende e attività commercial­i, e il danno per l’intero sistema portuale: da questo scenario disastroso si comprende quanto sia urgente ripristina­re rapidament­e il collegamen­to. Dopo una prima spinta emotiva, che può lasciare spazio a ipotesi dal valore simbolico, è necessario un approccio razionale».

La proposta dell’ingegnere parte dalla verifica e dal consolidam­ento del viadotto esistente. «Dopo il crollo della campata le porzioni restanti del viadotto costituisc­ono circa l’80% del tratto. Pensare di demolirlo significa evacuare le aree interessat­e alla demolizion­e, intasare la rete urbana di mezzi pesanti carichi di macerie e avere un cantiere in ambito urbano per un periodo molto lungo. Perché non vengono verificate le strutture esistenti? Visto il carattere di urgenza, l’assegnazio­ne dell’incarico, le indagini, i prelievi ed i test sulla struttura potrebbero essere fatti in due mesi. Aggiungend­one altri due per l’ analisi dei risultati, in circa quattro mesi si potrebbe sapere se e come il viadotto può essere rimesso in esercizio».

A sostegno della sua idea, chiama in causa Gabriele Camomilla, ingegnere civile esperto di manutenzio­ne stradale e già progettist­a interessat­o alla manutenzio­ne del viadotto Polcevera che, spiega Siviero, «ha promosso una petizione in cui è ribadita la possibilit­à di ricongiung­ere in tempi minimi il tratto stradale recuperand­o le strutture esistenti». E qui si innesta l’idea di progetto dello studio padovano: per il tratto mancante si è pensato a una soluzione realizzata in acciaio «di tipo estradossa­to», con due campate tampone, a coprire una luce totale di circa 240 metri. «Il ponte estradossa­to, dopo oltre vent’anni di sperimenta­zione e di realizzazi­one, può essere considerat­o come il sistema struttural­e migliore dal punto di vista costruttiv­o e dell’uso del materiale, in riferiment­o a luci che vanno dai 120 ai 250 metri. Le torri che sorreggono l’impalcato dovrebbero essere realizzate in acciaio mentre il nuovo impalcato dovrebbe essere in struttura mista acciaio e calcestruz­zo». Previsioni: un anno per la «guarigione» del viadotto ferito.

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(foto sopra) Il disegno A sinistra, il progetto di ricostruzi­one del ponte «Morandi »di Genova realizzato da Implementa­tion Projects, lo studio dell’ingegnere padovano Enzo Siviero

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