Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
IL LAVORO E IL REDDITO NELL’ERA 4.0
Oggi il lavoro è il titolo che dà alla maggior parte delle famiglie il diritto a percepire una quota del reddito prodotto sotto forma di salario. Ma se le macchine dovessero un giorno sostituire tutto il lavoro, a quale titolo potrebbero partecipare alla distribuzione del reddito gli ex lavoratori? C’è un filo rosso che collega questa domanda al contratto integrativo aziendale firmato alla Manfrotto di Cassola (VI) e Feltre (BL) lo scorso giugno, e messo sotto i riflettori nazionali dall’incontro organizzato da Confindustria Vicenza pochi giorni fa. Il filo che da Vicenza e Belluno porta al tema della distribuzione del reddito in un mondo sempre più segnato dalla travolgente immissione di nuove tecnologie, oggi soprattutto digitali, che riducono la domanda di lavoro nelle imprese che le adottano. Un filo esile, forse nemmeno percepito dai protagonisti, interessati innanzitutto a definire un modello di relazioni industriali adatto al mondo dell’Industria 4.0. Un modello che valorizza anche in termini salariali le competenze richieste dalle nuove tecnologie ed acquisite dai lavoratori in un sistema di formazione e di certificazione («passaporto delle professionalità») tarato su piani strategici aziendali definiti con la partecipazione del sindacato. Una soluzione efficace sia dal punto di vista delle performance aziendali l’introduzione di progresso tecnico è condizionata dalla disponibilità di lavoro capace di consentirla - sia da quello della difesa del concorso del lavoro alla distribuzione del reddito in fabbrica.
Ma non è sufficiente ad affrontare alla radice gli sconvolgimenti che ci aspettano perché la partecipazione alla Manfrotto non prevede la presenza del lavoro nella governance aziendale in forza di azioni possedute dai lavoratori; e quindi senza il diritto all’attribuzione al lavoro di una quota di profitti oltre che di salari. Alla Manfrotto questa «cogestione alla tedesca» - inseguita da almeno 30 anni in Italia dalla Cisl come ha ricordato Marco Bentivogli al convegno di Vicenza - resta solo un obiettivo. Timidamente sperimentata alla ex Alcoa rilevata da Sider Alloys a Portovesme - è il cuore della possibile soluzione laddove il progresso tecnologico dovesse produrre un saldo occupazionale netto negativo crescente. Il tema tormentava Wassily Leontief, premio Nobel per l’economia del 1973, fin dal 1980 quando per l’ennesima volta nella sua lunga carriera avviava una ricerca tendente a misurare l’impatto dell’automazione sul lavoro nell’economia americana della fine dello scorso secolo. Due le cose che Leontief ripeteva e che i primi anni del terzo millennio sembrano confermare. L’effetto della innovazione tecnologica sulla occupazione - lui stava studiando gli effetti delle nuove tecnologie computerbased, ma si attendeva sorprese dall’intelligenza artificiale, dal riconoscimento vocale e dalla robotica -non è monodirezionale, necessariamente riduttiva del lavoro, perché dipende dal contesto economico generale nel quale si produce e dalla capacità di accompagnare la transizione, qualitativa, del lavoro dalle vecchie alle nuove competenze e, quantitativa, dai vecchi ai nuovi settori produttivi. Ma alla fine se l’innovazione tecnologica dovesse essere di dimensione tale da «liberarci dal lavoro» occorreva ripeteva Leontief - preparare un assetto organizzativo e istituzionale che consenta alle famiglie di sostituire salari con profitti (e rendite). Era già avvenuto nell’economia americana quando gli effetti distruttivi di lavoro, e quindi di salario, legati alla forte meccanizzazione dell’agricoltura era stata compensata da una acquisizione collettiva di macchine agricole da parte degli ex braccianti, che aveva consentito loro di sostituire i salari perduti con profitti acquisiti. La redistribuzione della proprietà dei mezzi di produzione a favore del lavoro, come strumento di trasformazione di redditi a titolo di salario con redditi a titolo di profitti. Esattamente quella partecipazione alla tedesca verso la quale dovrebbero muoversi le aziende seguendo l’esempio della ex Alcoa e della Manfrotto.