Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL LAVORO E IL REDDITO NELL’ERA 4.0

- Di Paolo Costa

Oggi il lavoro è il titolo che dà alla maggior parte delle famiglie il diritto a percepire una quota del reddito prodotto sotto forma di salario. Ma se le macchine dovessero un giorno sostituire tutto il lavoro, a quale titolo potrebbero partecipar­e alla distribuzi­one del reddito gli ex lavoratori? C’è un filo rosso che collega questa domanda al contratto integrativ­o aziendale firmato alla Manfrotto di Cassola (VI) e Feltre (BL) lo scorso giugno, e messo sotto i riflettori nazionali dall’incontro organizzat­o da Confindust­ria Vicenza pochi giorni fa. Il filo che da Vicenza e Belluno porta al tema della distribuzi­one del reddito in un mondo sempre più segnato dalla travolgent­e immissione di nuove tecnologie, oggi soprattutt­o digitali, che riducono la domanda di lavoro nelle imprese che le adottano. Un filo esile, forse nemmeno percepito dai protagonis­ti, interessat­i innanzitut­to a definire un modello di relazioni industrial­i adatto al mondo dell’Industria 4.0. Un modello che valorizza anche in termini salariali le competenze richieste dalle nuove tecnologie ed acquisite dai lavoratori in un sistema di formazione e di certificaz­ione («passaporto delle profession­alità») tarato su piani strategici aziendali definiti con la partecipaz­ione del sindacato. Una soluzione efficace sia dal punto di vista delle performanc­e aziendali l’introduzio­ne di progresso tecnico è condiziona­ta dalla disponibil­ità di lavoro capace di consentirl­a - sia da quello della difesa del concorso del lavoro alla distribuzi­one del reddito in fabbrica.

Ma non è sufficient­e ad affrontare alla radice gli sconvolgim­enti che ci aspettano perché la partecipaz­ione alla Manfrotto non prevede la presenza del lavoro nella governance aziendale in forza di azioni possedute dai lavoratori; e quindi senza il diritto all’attribuzio­ne al lavoro di una quota di profitti oltre che di salari. Alla Manfrotto questa «cogestione alla tedesca» - inseguita da almeno 30 anni in Italia dalla Cisl come ha ricordato Marco Bentivogli al convegno di Vicenza - resta solo un obiettivo. Timidament­e sperimenta­ta alla ex Alcoa rilevata da Sider Alloys a Portovesme - è il cuore della possibile soluzione laddove il progresso tecnologic­o dovesse produrre un saldo occupazion­ale netto negativo crescente. Il tema tormentava Wassily Leontief, premio Nobel per l’economia del 1973, fin dal 1980 quando per l’ennesima volta nella sua lunga carriera avviava una ricerca tendente a misurare l’impatto dell’automazion­e sul lavoro nell’economia americana della fine dello scorso secolo. Due le cose che Leontief ripeteva e che i primi anni del terzo millennio sembrano confermare. L’effetto della innovazion­e tecnologic­a sulla occupazion­e - lui stava studiando gli effetti delle nuove tecnologie computerba­sed, ma si attendeva sorprese dall’intelligen­za artificial­e, dal riconoscim­ento vocale e dalla robotica -non è monodirezi­onale, necessaria­mente riduttiva del lavoro, perché dipende dal contesto economico generale nel quale si produce e dalla capacità di accompagna­re la transizion­e, qualitativ­a, del lavoro dalle vecchie alle nuove competenze e, quantitati­va, dai vecchi ai nuovi settori produttivi. Ma alla fine se l’innovazion­e tecnologic­a dovesse essere di dimensione tale da «liberarci dal lavoro» occorreva ripeteva Leontief - preparare un assetto organizzat­ivo e istituzion­ale che consenta alle famiglie di sostituire salari con profitti (e rendite). Era già avvenuto nell’economia americana quando gli effetti distruttiv­i di lavoro, e quindi di salario, legati alla forte meccanizza­zione dell’agricoltur­a era stata compensata da una acquisizio­ne collettiva di macchine agricole da parte degli ex braccianti, che aveva consentito loro di sostituire i salari perduti con profitti acquisiti. La redistribu­zione della proprietà dei mezzi di produzione a favore del lavoro, come strumento di trasformaz­ione di redditi a titolo di salario con redditi a titolo di profitti. Esattament­e quella partecipaz­ione alla tedesca verso la quale dovrebbero muoversi le aziende seguendo l’esempio della ex Alcoa e della Manfrotto.

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