Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’erba voglio
Beppe le coltiva al mare, Luisa le cerca nel bosco, Michele le «ruba» alla natura. Loro e altri chef della cucina degli aromi
Mille nomi dialettali, somiglianze ingannatrici, infinite morfologie botaniche per quelle che un tempo venivano chiamate malerbe o erbacce, solo perché cresciute spontaneamente agli angoli di strade campestri o accanto alle siepi; eppure hanno da sempre scandito il tempo della tavola e arricchito di saperi la nostra cultura contadina. E oggi, a quanto pare, sembra che non corrano il rischio di sciuparsi o invecchiare, grazie alla «resistenza gastronomica» di cuochi, che le hanno trasformate in veri e propri ingredienti nel loro saper fare cucina; anzi, per molti, una vera e propria responsabilità, a favore della conservazione e riscoperta della ricca biodiversità dei luoghi.
Una perfetta visione olistica, che ha acciuffato l’inesauribile inventiva di Giuseppe De Santis, gestore del Don Diego, uno stabilimento balneare con ristorante, a Grottammare, nelle Marche. Peppe — per gli amici — ha viso largo, scolpito dal sole e a guardarlo ci si sente in paradiso, non solo per i grandi occhi azzurri, ma per lo sguardo che ancora non dimentica il guizzo del sognatore. Soddisfatto, e con voce ferma, elenca: uno spruzzino riciclato da un litro, un cucchiaio di sapone bio per piatti, un cucchiaio di alcol etilico, un cucchiaino di bicarbonato di sodio. Basta agitare e distribuirlo sulle piante, per tenere lontani insetti e parassiti. Lui di lavoro ne ha da fare, in giro per il suo orto «eroico», che conta ben 48 varietà di erbe coltivate a soli 28 metri dalla riva (in inverno, si arriva al massimo a 10) e che pare non temere né sole, né salsedine, né mareggiate, né freddo.È la sua regola delle tre esse: sale, sabbia, sole. Aggiungerei, a tal punto, sapidità. E con il gusto degli intrecci e delle sperimentazioni aromatiche, regala la ricetta dell’Impepata di cozze senza pepe, che con i suoi quattro minuti di cottura si aromatizza con aglio rosso di Sulmona, cipolla rossa di Tropea, con il germoglio del falso pepe (peperosa) e, infine, con erba pepe, alias santoreggia. Tutto con un solo e coscienzioso taglio di forbici e un ritorno alla tradizione popolare e alla fede salutistica. Due punti fermi, questi, condivisi a meno di un centinaio di chilometri dalla costa, da Michele Biagiola che contrappone la pratica dell’errante ricercatore. Sorride, quando si definisce il ladro gentile della natura. Ci troviamo a Montecosaro, in provincia di Macerata, nel suo Signor te ne ringrazi, il ristorante che ha scelto di aprire, dopo l’esperienza di una cucina stellata. È voluto uscire allo scoperto, cavalcando quella filosofia che rende possibile la sostenibilità, il ritorno ai sapori semplici e alla convivialità e quando si definisce impopolare, scalza il personaggio, perché per Michele l’ispirazione arriva da tutto quello che lo circonda. La necessità di non voler trasformare per forza i suoi piatti in chiave moderna lo ha stimolato a ricorrere sempre più volentieri alle risorse della natura e al costume popolare: erbe che modificano leggermente il sapore e il colore delle sue preparazioni, erbe che si annusano, che si masticano e che regalano al palato intensità aromatica. Come l’Acqua cotta, una ricetta millenaria che ha riportato sulla tavola con garanzia di successo, mescolando pecorino stagionato, pan grattato, uova, aggiunta di un mestolo di brodo, ottenuto da ortaggi e erbe di montagna, e il risultato è quello di un piatto colorato, rustico, non costruito. E ancora. Non solo fresche ma le erbe anche quando seccano non cadono in disgrazia. Savino Di Bartolomeo, titolare della Bottega dell’Allegria a Corato (Puglia) raccoglie il finocchietto selvatico secco, per utilizzarlo come deumidificatore e purifi- catore d’ambienti. L’unica accortezza è far caso che i rametti non siano completamente legnosi. Ma la particolarità di Savino è la curiosità che, negli anni, lo ha spinto a raccogliere e a individuare nelle passeggiate sulle Murge ben 40 varietà di cicoria selvatica, ancora da catalogare ma ciò non gli impedisce di utilizzarle in cucina. Come per la cotoletta di zucca, accompagnata da cicorietta appena saltata in padella e pomodori, aggiunti a metà cottura. Un innegabile piacere, ma le erbe hanno anche la prepotenza di appuntarsi testardamente nella memoria, riportandoci indietro nel tempo e nei luoghi. Così, Luisa compone le sue insalate con il garbo del colpo d’occhio e con quell’antico esercizio che solo nonna Filomena poteva tramandarle.
Come l’uso dello stridolacchio (Selene) che, con il suo sapore un po’ amarognolo, caratterizza la sua misticanza; oppure del nasturzio, delle foglie di viole di campo, di borragine e di ortica, che combina per profumare il suo minestrone di fagioli e patate. Con Luisa ci troviamo ai piedi del Monte Amiata, ai margini della Val d’Orcia, e insieme a Umberto e Nadia gestisce l’Osteria di Pian delle Mura. Parla con grande competenza, seria, ma si concede un sorriso quando racconta del Giulebbe, un liquore ottenuto dalla lenta macerazione di petali di rosa canina, bevuto durante le feste e il cui nome usato metaforicamente allude a un carattere sdolcinato e beato. Un rituale di tradizioni, che rimbalza da un territorio all’altro.
In Friuli, era consuetudine regalare alle donne in segno di buona fertilità e benessere fisico l’olio d’Iperico, noto come erba di San Giovanni altrimenti detto scacciadiavoli. Così, veniva posto di fronte la porta di casa, in segno scaramantico e di buona ventura: una valenza simbolica che non elude però l’uso pratico, per le sue proprietà lenitive, soprattutto in caso di scottature. Così racconta Rita Lenisa dell’Osteria di Borgo Pascolle a Cavazzo Carnico. Nei suoi nove ettari di bosco, interamente certificati bio, ne ha di erbe da raccogliere, che regalano ai suoi piatti profumo e fraganze, come i Fregoloz (gnocchetti), preparati con un mix di ortica, melissa, menta e maggiorana. E per i dolci? Affidiamoci a Oscar, cuoco Alle
Codole nel cuore delle Dolomiti, nel bellunese, e alla sua rivoluzione verde. Mousse di cioccolato bianco, timo limonato e fragoline di bosco oppure semifreddo all’asparago selvatico con meringa, menta e melissa, da mangiare senza pentimenti e con la piena soddisfazione del palato.