Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
ABORTO, LE CONDANNE NON SERVONO
Chi mai avrebbe detto che, decenni dopo una legge dello Stato confermata da referendum (votato anche da moltissimi cattolici), si tornasse a discutere tanto accanitamente sull’aborto, perfino accusando le donne che vi ricorrono di assassinio, e di killeraggio i sanitari che le aiutano? Sono sempre meno, in verità, sia le prime che i secondi.
Le prime perché - lo dicono le statistiche – l’aborto è assai diminuito da quando l’uso dei contraccettivi è diventato pratica comune: almeno per le italiane, fatte salve poche eccezioni. Chi vi ricorre è di solito una straniera, non acculturata, incapace di usufruire della contraccezione o costretta a non ricorrervi dal proprio consorte.
O una pre-adolescente che resta incinta quasi senza sapere quel che fa, e che poi non sarebbe in grado di gestire la maternità ma la delegherebbe alla propria madre.
O una donna senza la forza, d’animo o fisica, di portare avanti la gravidanza di un feto disabile grave, oppure di farlo nascere e poi abbandonarlo. O infine chi, per altri gravi motivi personali, decide di servirsi della legge che la considera libera e responsabile di se stessa.
Quanto ai sanitari, quelli che ritengono un dovere far funzionare la legge sono sempre meno numerosi, specie in terre di obiezione a tappeto come il nostro Veneto (ex e ora nuovamente) bianco specie sui temi bioetici.
Verona insegna: è la città dove il consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno antiaborto, cioè a favore del finanziamento delle associazioni pro-vita (non del sistema di welfare per tutte previsto dalla 194), le quali sostengono che l’aborto clandestino non è stato affatto debellato, che l’ivg è ancora usata come strumento di contraccezione e che perfino la pillola del giorno dopo potrebbe essere abortiva, dunque da evitare. Si tratta spesso degli stessi integralisti che considerano i gay una sciagura per la conservazione della specie. Ma se questo episodio ha dato stura a una bufera di polemiche, quel che più ha colpito una parte non trascurabile delle italiane (quarum ego) è stato il durissimo attacco del Papa: non tanto per il contenuto, in linea con il pensiero della Chiesa, quanto per i toni insolitamente demonizzanti, così lontani dall’umiltà del «chi sono io per giudicare?» che ha attirato a Francesco la simpatia di credenti e non credenti. Non capisco, sinceramente, perché il Papa sembra non rendersi conto che abortire non è una passeggiata, ma un dramma che provoca una profonda sofferenza: che emotivamente non si cancella mai, anche se alcune pensano, razionalmente, che un progetto di vita non è ancora un essere umano, non ha coscienza di soffrire, specie nei primi tempi della gravidanza, e che una vita gravemente problematica non è sempre preferibile a una vita interrotta. Chi è cattolica cercherà di non interromperla, o di prevenire il rischio di restare incinta senza volerlo, anche se la contraccezione non è ben vista dalla Chiesa, che invece non spende una parola chiara contro gli obiettori per carriera, contro un’antica cultura patriarcale nemica della maternità responsabile. Siamo in tante a sperare che questa possa realizzarsi per tutte, anche per le ignoranti, le povere, le disperate, senza bisogno di condanne specie da parte di un Papa buono, intelligente, comprensivo di ogni tipo di dolore umano, e che nulla ha a che fare con il cinismo di chi, per motivi soprattutto politici, vorrebbe riportarci ai secoli bui.