Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Annegato a quattro anni aperta un’inchiesta per omicidio colposo
Il questore: incidente. Omissioni al vaglio, aperte tutte le piste. Veglia con la madre
MESTRE Le fonti di polizia e giudiziarie continuano a parlare di incidente, l’autopsia conferma la morte per annegamento, ma il caso del bimbo fuggito da una comunità protetta a Mestre verrà seguito scrupolosamente per scongiurare ogni altra ipotesi. E per accertare eventuali responsabilità, fossero anche solo colpose. La procura ha aperto un’inchiesta.
MESTRE Una volante della polizia parcheggiata davanti ai cancelli della casa d’accoglienza, da mattina a sera. La processione dei residenti del quartiere verso la chiesa, per piangere assieme e cercare di offrire il sostegno di tutta la comunità a chi ha perso tutto. I capannelli di vicini sopra gli argini, a commentare scoraggiati la quarta vittima di quelle acque melmose. Ieri mattina il rione Pertini di Mestre appariva trasformato, schiacciato dal peso della tragedia: venerdì sera, dopo un pomeriggio di ricerche, sul fondo del collettore delle acque di Campalto è stato recuperato il corpo senza vita di un bimbo di quattro anni, «scappato» dal centro dove era ospite assieme alla madre. Dolore, ma anche voglia di capire che cosa fosse davvero successo: tanti i dubbi aperti, a cominciare da come possa aver fatto un bambino così piccolo – affetto anche da problemi di salute – a fare tanta strada senza venire fermato da nessuno, anche se già in passato era riuscito ad allontanarsi.
Per il questore di Venezia Vito Gagliardi, comunque, «non c’è nessun giallo, si è trattato di un incidente»; gli esperti della polizia non hanno trovato segni di violenza e nel pomeriggio l’autopsia ha confermato la morte per annegamento. Madre e figlio erano però in una comunità protetta, assieme ad un’altra decina con bambini in difficoltà, e proprio per questo è impossibile escludere qualsiasi ipotesi. Intanto il pm Raffaele Incardona ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, per ora senza indagati; si sta valutando l’ipotesi di omissione di vigilanza – per la madre, ma anche per la struttura – sono stati «congelati» i nastri delle telecamere di sorveglianza piazzate nei dintorni e nelle prossime ore si continueranno a sentire testimoni e responsabili.
Ieri mattina, durante il catechismo, i cinquanta bambini della parrocchia hanno discusso con don Gilberto: «Abbiamo cercato di parlargli del senso della vita, ma anche della fiducia necessaria ad affrontarla – spiega il collaboratore pastorale – Soprattutto avevano bisogno di ascoltare una voce adulta che affrontava la questione». Nel primo pomeriggio è stata la volta degli adulti, che dopo un passaparola si sono ritrovati per un momento di preghiera spontaneo. Il parroco, don Natalino Bonazza, ha subito messo a disposizione la chiesa, chiusa a chiave per permettere anche alle mamme della struttura protetta di unirsi: «Tra i presenti c’era anche la madre del bambino – racconta il religioso – a cui ci siamo rivolti con un impegno solenne: noi non vi dimenticheremo». La donna sarebbe poi stata trasferita altrove, vista la delicatezza della situazione, ma per i parrocchiani era importante farle sentire la loro vicinanza.
Restano le perplessità sulla «fuga» della piccola vittima: i cancelli della comunità, che dovrebbero essere sempre chiusi, la recinzione d’acciaio, impossibile da superare, la distanza non impossibile ma comunque notevole da coprire. Ma è anche vero che alcuni spazi del centro protetto sono più «vulnerabili» e che il bimbo già in passato si era allontanato, riuscendo a raggiungere luoghi anche più lontani. Ed ecco allora che dai residenti, così come dal parroco, si ascolta ancora la richiesta ripetuta da anni: «Il collettore va tombato, coperto con lastre di cemento, magari trasformato in pista ciclabile – ribadisce don Natalino – Da generazioni quella è una zona interdetta a tutti i bambini: tra la melma e gli argini alti in cemento, chi cade in acqua non ha possibilità di uscirne». Così è stato anche venerdì.