Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
ONDA SOVRANISTA
Il ministro: «Bozza al premier dal 2 ottobre. Avrete i nove decimi o quasi» Zaia incalza: «Fate presto». Salvini rassicura: «Presto intesa al Cdm»
Un’onda. Verde. Travolgente nel Nord delle regioni ordinarie con la fame di speciali e delle speciali con l’incubo di ritrovarsi (chissà mai) un po’ più ordinarie. Un’onda di piena in Trentino e più di un riverbero in Alto Adige, dove al di là della storica supremazia politico-identitaria di una Svp comunque in calo, Salvini diventa il primo partito a Bolzano e quindi simbolo contro-identitario per la difesa dell’italianità. Un’onda – in queste elezioni nazionali e perfino «internazionali» vista la polemica sul doppio passaporto per la genìa italian-sudtirolese e lo stesso tunnel del Brennero - che colora di verde tutto il Nord-Nordest. Trentino, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia. Per ora. Perché l’occhio sovranista di Salvini è lungo e la sua gittata arriva al prossimo autunno, all’Emilia Romagna rimasta con la Toscana ultima roccaforte di un centrosinistra se non in ritirata rinchiuso in un fortino sempre più espugnabile. Perché confuso, litigioso, frammentato, senza stelle polari. Messo in fuorigioco da parole non più sue – migranti in testa – perfino al di là delle politiche strumentali di chi la parola migranti la brandisce anche dove i «foresti» non ci sono.
Non c’era bisogno di sondaggi per sapere come sarebbe andata a finire. La domanda vera era e resta perché. Perché in un’area del Paese raccontata da qualsiasi report come la più coesa, con un super Pil, le maggiori risorse e la migliore qualità della vita, non è stato confermato il vecchio sistema di governo amplificando peraltro il voto politico del 4 marzo? La risposta – a suo modo semplice nella sua complessità – l’hanno data le valli trentine in uno dei viaggi elettorali compiuti da questo giornale. Corale e testuale: «Qui si sta bene ma vogliamo cambiare».
VENEZIA Un gonfalone di San Marco formato gigante come fondale, due ieratici carabinieri «col pennacchio» a delimitare il «palco» calcato da due primi attori - il governatore Luca Zaia e il ministro per le Autonomie Erika Stefani - e la colta relazione del costituzionalista Mario Bertolissi a conferire autorevolezza al «primo compleanno del referendum», quello con cui il Veneto ha chiesto, un anno fa, libertà di gestione (e risorse) per ventitré materie. Una conferenza stampa alquanto solenne a lenire, forse, la delusione di non poter annunciare, ancora, un passo avanti decisivo. E se Zaia scandisce piuttosto severo: «Caro ministro, qui siamo ai tempi supplementari, è evidente», Stefani risponde sul capitolo più scottante, le risorse: «Se non saranno i nove decimi dei tributi poco ci manca». Anzi, a dirla tutta, la vicentina titolare del dicastero che si occupa di affari regionali, lo dice in dialetto. Così come in dialetto esordisce avvicinandosi al microfono da cui ha appena parlato Zaia - «Setto che sto microfono xe ancora basso?». Sarà l’influenza del leone marciano che veglia dall’alto, ma l’orgoglio veneto a Palazzo Balbi sembra quasi una presenza fisica.
Dal salone nobile allestito per le grandi occasioni, allo schieramento dell’intera delegazione trattante, il compleanno in grande stile del referendum è, di fatto, un accorato appello a Palazzo Chigi perché si sblocchi la situazione. E precisamente di «appello» parla Zaia che si sbilancia: «Non ci riteniamo controparte del Governo ma sia chiaro che su questa partita andremo fino in fondo». Perché a Palazzo Chigi? Lo spiega il ministro Stefani: «Ho recepito la proposta di intesa presentata in estate dal Veneto e dopo che si sono avviati i tavoli trilaterali sulle singole materie, l’ho consegnata al premier Giuseppe Conte il 2 ottobre». Quasi venti giorni dopo restano solo le braci delle recenti polemiche con il M5s che starebbe boicottando il percorso dell’autonomia. Stefani sceglie con cura le parole ma non ci gira intorno: «Alcuni colleghi ministri hanno chiesto tempo per valutare la materia di loro competenza e, soprattutto nel caso del ministro Grillo, manifestato qualche perplessità che, comunque, ritengo perfettamente superabile perché l’autonomia non è prevista solo dalla Costituzione ma anche dal contratto di governo. Certo, il premier è in attesa del parere di alcuni ministri».
La difficile convivenza fra Carroccio e Cinque Stelle, insomma, pesa ancora sull’autonomia. Ma ieri il vicepremier Matteo Salvini assicurava: «L’accordo sull’autonomia di Veneto e Lombardia andrà in una delle prossime riunioni del Consiglio dei ministri. Ho sentito Luca Zaia e sentirò Attilio Fontana. Conto che arrivi in uno dei prossimi consigli dei ministri il provvedimento attuativo sull’autonomia del Veneto, della Lombardia sicuramente e mi auguro anche dell’Emilia-Romagna. L’importante è che si parta e si posi la prima pietra».
E Stefani aggiunge: «Il presidente del Consiglio Conte, che tra l’altro è uomo di grandissimo spessore anche giuridico ha una piena cognizione di quella che può essere la portata della bozza d’intesa. Il presidente conosce quali sono le nostre istanze». E se il percorso verso una «piena attuazione» si prospetta articolato e non immediato, è pur vero che l’intesa alla firma del premier segnerebbe un primo step imprescindibile. «Sono fiducioso sul piano politico perché i compagni di viaggio al Governo, i pentastellati, si sono spesi per il referendum del Veneto, a favore del sì». E, per una volta, nessuna spaccatura almeno con i pentastellati veneti che rivendicano il ruolo attivo avuto un anno fa per il referendum e definiscono «pura fantasia, creata ad arte per raccontare balle e mettere in cattiva luce il M5s in Veneto le polemiche dei giorni scorsi». Zaia, da parte sua, non arretra né sulle ventitré materie richieste, né sulla modalità «sartoriale» dell’autonomia veneta. E annuncia di voler battezzare il 22 ottobre come la Giornata dell’autonomia. Ieri è rispuntato a più riprese il percorso «gemello» con la Lombardia la cui bozza di intesa è appena un mezzo passo indietro rispetto a quella veneta. «La proposta della Lombardia è già sulla mia scrivania e la valuterò a stretto giro» ha detto Stefani. Più di qualcuno ipotizza che le due regioni possano marciare affiancate anche negli step successivi. La presenza del ministro Stefani, poi, è stata occasione anche di un incontro a latere, spiega l’assessore regionale all’Ambiente, il bellunese Gianpaolo Bottacin, per approfondire l’altra partita autonomista veneta, quella della Provincia di Belluno i cui rappresentanti saranno convocati presto al ministero delle Autonomie. Polemico, invece, Sergio Berlato, consigliere regionale di FdI: «La via per l’inferno è lastricata di buoni propositi. Nonostante gli annunci della Lega, ancora niente autonomia per il Veneto». Indirettamente, risponde proprio Bertolissi che ragiona su come si tratti di una partita estremamente complessa: «Qui parliamo di un evento dallo straordinario rilievo istituzionale. E aggiungo che il Veneto è, storicamente, da sempre ai primi posti nelle graduatorie di efficienza e capacità gestionale fra le regioni italiane. In un Paese in cui domina ancora Tomasi di Lampedusa, il Veneto ha resistito nella sua richiesta di autonomia. Tutto è stato fatto per bene, ora, come sempre, è questione di volontà, di persone». E sul tutto fatto «per bene» Maurizio Gasparin, direttore della Programmazione strategica della Regione elenca punto per punto i passi che hanno condotto fin qui, dal referendum alla consulta che riunisce gli stakeholder della regione. Fin qui, sulla soglia di Palazzo Chigi dove giace un’Intesa da firmare.
Bertolissi
Il percorso dell’autonomia è estremamente complesso
Punture tra alleati
I Cinque stelle veneti ammoniscono: «Noi favorevoli, la Lega smetta di accusarci»
"Gasparin Oltre al referendum c’è il coinvolgimento degli stakeholder