Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’uomo dei conti che trasformò il Dna del gruppo
AGilberto non piaceva essere definito un finanziere, ma era lui «l’uomo dei conti» che trasformò il Dna del gruppo.
TREVISO La livella, per dirla con l’immortale Totò, nel caso dei fratelli Benetton ha imperscrutabilmente deciso di partire dal basso, prendendosi per primi i due più giovani della famiglia. Pochi mesi fa Carlo, il quarto dei quattro, morto in un giorno di luglio a 74 anni, ora Gilberto, il terzo, di due anni più vecchio. Luciano e Giuliana, i due capostipiti, hanno passato gli ottanta.
C’è una vecchia foto dei fratelli, suppergiù trentenni e sorridenti con i loro pullover colorati sulle spalle, in cui Gilberto assomiglia in modo sorprendente a un Robert Kennedy nato nella provincia veneta, biondo e dal ciuffo ribaldo. Con Luciano, appassionato di rugby come da autentico Dna trevigiano, era lo sportivo di famiglia, e anche quello che era andato a scuola più degli altri: fino alla licenza media. Lo aveva ricordato lui stesso, in una delle non certo frequenti esternazioni pubbliche: «Io sono quello che ha studiato di più in famiglia, e ho smesso a 14 anni».
Erano gli anni Cinquanta, dal Veneto la gente partiva ancora per il Canada o l’Australia in cerca di fortuna, i Benetton erano orfani di padre dal 1945, causa malaria contratta in Africa: il riscatto passava dal lavoro e i quattro fratelli se ne inventarono uno – fare i maglioni colorati per una nuova categoria sociale, i «giovani» – che ha lasciato un segno indelebile nel mondo della manifattura, della moda e del costume.
Gilberto, che fin dagli esordi aveva dimostrato di sapere tenere bene i conti, per fama consolidata era individuato come la mente finanziaria della famiglia. Anche se la definizione, come racconta chi gli è stato vicino, non gli aggradava molto: in privato si dispiaceva se gli davano del finanziere, anche se ricordava che, fin da giovanissimo, i fratelli lo avevano incaricato di gestire i risparmi di casa. Preferiva definirsi un imprenditore dei servizi. Certo, ma che servizi: le autostrade (italiane e ora anche spagnole, con la scalata ad Abertis), gli aeroporti di Roma, gli autogrill, gli immobili e le altre partecipazioni finanziarie (Mediobanca, Generali, Pirelli). Un business globale che, negli anni, aveva preso decisamente il sopravvento su quello delle origini, la maglieria, avviata verso un destino declinante. E se Gilberto Benetton, secondo l’autorevole Forbes, è stato recentemente il dodicesimo uomo più ricco d’Italia e poteva vantare un patrimonio personale netto di 2,7 miliardi di dollari (come ciascuno dei fratelli, del resto), lo doveva in misura ampiamente maggioritaria a quei «servizi» verso i quali aveva pilotato con decisione le attività
Come si vedeva
Finanziere non gli piaceva, amava chiamarsi imprenditore dei servizi Terribili gli ultimi mesi, segnati da lutto famiglia e vicenda del Ponte
della famiglia, con il sostegno del manager più fidato, Gianni Mion. Un piano di diversificazione iniziato già alla fine degli anni Ottanta con l’acquisto della Sme, da cui poi è nata Autogrill.
Ciò nonostante, Gilberto Benetton rimaneva un uomo riservato e fondamentalmente schivo, che aveva relazioni ai massimi livelli nel mondo finanziario ma la sera tornava a casa sua, nel centro storico di Treviso, dove lo aspettava Lalla, la compagna di una vita. La sua dimensione pubblica più genuina era probabilmente quella che si poteva vedere anni addietro al Palaverde di Treviso, ai tempi d’oro del basket e del volley marchiati Benetton e Sisley, quando Gilberto applaudiva dalle prime file, con passione sempre sobria, le imprese delle due squadre di casa. Nel 2012 era stato inserito nella Hall of Fame del basket italiano, sulla spinta di 5 titoli italiani, 8 Coppe Italia, 4 Supercoppe e due allori europei. Ma il marchio Benetton si è impresso anche nella Fomula 1 (due titoli mondiali), naturalmente nel rugby e infine nel golf, con il club di casa sulle colline asolane.
L’ultimo scorcio dell’esistenza di Gilberto Benetton è stato segnato da due lutti, uno privato - per quanto possa definirsi privato ciò che riguarda una famiglia come i Benetton - e un altro tragicamente pubblico: la morte del fratello minore Carlo e il disastro del ponte Morandi a Genova, che ha travolto la reputazione di Autostrade per l’Italia, coinvolgendo pesantemente anche la famiglia azionista. Erano stati accusati, i Benetton, di avere tenuto sulla vicenda un silenzio che appariva disinteresse. «Dalle nostre parti - è giunta la replica di Gilberto, nella sua ultima intervista il silenzio è considerato un segno di rispetto».