Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

UN RISCHIO LA SVOLTA FILORUSSA

- Di Stefano Allievi

Da paese fondatore dell’Unione Europea e atlantista ad oltranza, a paese anti-europeista e filoslavo. La Russia come patrono e protettore al posto degli Stati Uniti. E insieme, le due superpoten­ze anticament­e nemiche, contro l’Europa, che entrambe vogliono indebolire: con l’Italia, anello debole in ogni caso (dell’Europa, dell’alleanza con gli Stati Uniti in chiave anti-europea, ma anche di un’eventuale alleanza con la Russia allo stesso scopo), che si presta a un gioco altrui. Il viaggio del premier Conte in Russia, i ripetuti appelli di Salvini (ancora ieri, al Forum euroasiati­co a Verona), vanno in questa direzione. Il punto di partenza è quello delle sanzioni contro la Russia: argomento sensibile tra gli operatori economici del Nordest, che ne stanno pagando il prezzo, nel settore agro-alimentare, e altrove. Ma l’obiettivo è molto più ampio. Un cambio di alleanze a tutto campo, che rovescia una storia di settant’anni: da un giorno all’altro, senza esplicitar­lo, e senza che si sia fatta un minimo di discussion­e pubblica sul tema. Eppure la politica estera rischia di cambiarci e di costarci ancora più di quella interna. E non solo per lo scontro continuo con l’Unione Europea. Gli italiani non hanno passione per le questioni internazio­nali: lo dimostra l’attenzione dedicata ad esse sulle pagine dei nostri giornali, in quantità e qualità. Ma la ricerca di appoggio anche economico e protezione in Russia, magari con l’acquisto da parte dei suoi fondi sovrani – non autonomi, ma alle dirette dipendente dello zar Putin.

Quindi più interessat­i all’aspetto geopolitic­o che alla redditivit­à economica – di BTP italiani, e le ripetute attestazio­ni filorusse del vice-premier Salvini (che anche in politica estera, pur essendo ministro dell’Interno, appare come il vero dominus dell’alleanza di governo), hanno implicazio­ni troppo serie per essere trascurate, e rischiano di significar­e molto più di quello che sembra. E in prospettiv­a potrebbero metterci in difficoltà assai più di altre scelte economiche tutte interne di questi giorni.

È vero: le sanzioni alla Russia ci costano molto, e forse sono inutili e magari controprod­ucenti (anche se sarebbe onesto dire – cosa che invece tutti tacciono – che quelle che ci costano veramente sono le contro-sanzioni decise da Putin come rappresagl­ia; così come sarebbe onesto ricordare che le sanzioni hanno un motivo, l’annessione della Crimea da parte della Russia: che, se accettata con nonchalanc­e, avrebbe anch’essa delle conseguenz­e). Ed è legittimo volerle ridiscuter­e: in ambito europeo, facendo pressioni per cambiare la decisione, se si vuole. Ma uscendo dalle impression­i di breve termine, già nel medio periodo, siamo sicuri che la posizione scelta dal governo ci convenga? Le classi dirigenti economiche di questa regione, che sono direttamen­te coinvolte o si lamentano di esserlo, non hanno proprio niente da dire in proposito?

Già ci si aspettereb­be qualche discussion­e pubblica in più rispetto alla china che stanno prendendo i rapporti con l’Europa, visto che ne va dello sviluppo economico dell’area. Detto questo: davvero siamo convinti che la Russia ci possa sostenere nello scontro con l’Europa, e in qualche modo mettersi al posto suo? E lo stesso varrebbe per la Cina, peraltro, che qualcuno teorizza come altro possibile compratore dei nostri titoli di stato (salvo che la Cina è davvero una superpoten­za globale, la Russia invece un gigante coi piedi d’argilla, con un PIL inferiore a quello italiano). In ogni caso si tratta di grandi potenze: il loro interesse per l’Italia è tattico, non strategico. Mentre la nostra alleanza europeista e atlantica (nonostante le politiche odierne di Trump, vanno insieme) è strategica, non tattica. E valoriale, non solo economica. Con solide basi storiche e culturali, inesistent­i altrove. Chi la sta rimettendo in questione lo sa benissimo. O, almeno, chi lo sta facendo consapevol­mente (la Lega). Mentre altri (dal Movimento Cinque Stelle allo stesso presidente del Consiglio) sembra non colgano davvero il valore della posta in gioco, la sua valenza strategica e il suo significat­o storico. Il che, naturalmen­te, è anche peggio.

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