Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Benetton, oggi i funerali Brunetti: sì ai manager
Oggi l’addio a Gilberto. Brunetti: «La capacità di ascoltare era il suo punto di forza»
TREVISO Oggi, alle 11 in Duomo a Treviso, l’addio a Gilberto Benetton. E, intanto, ci si interroga sul futuro di Edizioni. Giorgio Brunetti, decano degli economisti veneti spiega:«Meglio confermare l’assetto attuale di Edizione in mano ai manager».
VENEZIA Meglio confermare l’assetto attuale della Edizione in mano ai manager? «Penso di sì. Anche perché ci sono problemi rilevanti da affrontare, come la questione Atlantia-Autostrade». Se il dilemma che si apre, dopo l’improvvisa scomparsa di Gilberto Benetton, è sull’assetto di governo migliore per la holding di Ponzano, Giorgio Brunetti, decano degli economisti veneti e docente di Ca’ Foscari e poi della Bocconi, ha le idee chiare. Tra il confermare l’assetto che proprio il vicepresidente di Edizione, scomparso lunedì, aveva pensato per la «cassaforte» di famiglia - gestione affidata ai manager anche nei ruoli di vertice, con i rappresentanti dei quattro rami Benetton che si ritagliano il ruolo di azionisti - o il metterlo in discussione, con l’ascesa di un’esponente della seconda generazione, Brunetti preferisce senz’altro la prima strada. Anche perché, con la questione autostrade apertasi dopo la tragedia del ponte di Genova e l’Opa sulla spagnola Abertis da chiudere, non è proprio il caso di pensare a cambi in corsa.
Giudizio di non poco conto, rispetto a un tema destinato ad entrare nel vivo dopo i funerali di Gilberto Benetton, oggi alle 11, al Duomo di Treviso. Perché Brunetti è un profondo conoscitore dell’evoluzione della galassia Benetton, fin dagli anni Ottanta. Prima da consulente, chiamato più volte a valutare società nel momento della quotazione di Benetton group e della separazione delle altre attività nella nascente Edizione; e poi come membro dei cda delle società acquisite con la diversificazione degli anni Novanta da Sme a Gs supermercati, fino ad Autogrill in cui è stato presente dal 1996 al 2011 - e infine, all’inizio degli anni Duemila, anche di Benetton group.
«L’occasione di conoscerli arrivò nel 1982, con la tesi che
uno studente voleva dedicare ad una società appena nata a Treviso, di cui i Benetton erano soci - ricorda Brunetti -. Andai a Villa Minelli a incontrare Luciano. Poi sono stato richiamato subito dopo, quando c’era da introdurre il controllo di gestione e scegliere il primo controller».
E Gilberto?
«Era persona molto gradevole. Sempre con un sorriso, mai arrabbiato, molto deciso nelle sue scelte. E, altro aspetto rilevante, persona cresciuta sempre più con le esperienze. Sedere nel cda di Mediobanca ovviamente è stato utile. E poi aveva coraggio. Tanti imprenditori si chiudono con scarso coraggio nella rendita. Non era il suo caso».
Eppure i Benetton sono stati accusati di essersi rifugiati nella rendita delle autostrade.
«Beh, di certo non si è trattato di gestire un pacchetto di azioni. La linea manageriale e il ruolo di Gianni Mion sono stati determinanti. Anche questo lo distingueva rispetto al modello dell’imprenditore tradizionale in loco. E poi la spinta internazionale, vedi
Autogrill. Potevano dire ‘me no sto qui in Italia’, invece sono andati ovunque. Pensando sempre allo sviluppo. Altro che rendita».
Adesso la domanda che si pongono tutti è cosa succederà. Lei ritiene che la cosa più semplice sia confermare l’assetto attuale di una Edizione affidata ai manager.
«Sì. Riporto una frase che proprio Gilberto mi aveva detto: è importante che i figli siano bravi azionisti, non necessariamente imprenditori. Era consapevole che si trattava di una strada obbligata. Poi si potrà sedere nel cda o diventarne presidente. Ma la gestione dev’esser necessariamente manageriale. Per due aspetti: la dimensione mondiale del gruppo e la questione delle autostrade».
Si parla perfino di un possibile ritorno di Luciano. E poi di un’ascesa di Alessandro o del genero di Gilberto, Ermanno Boffa...
«Mah, nel primo caso non credo nemmeno sia nelle corde. Nel secondo, per statuto, serve un accordo di tre rami familiari su quattro. Nel terzo bisogna cambiarlo. Vedremo cosa succederà di qui all’assemblea di edizione di aprile, che dovrà nominare il nuovo cda».
Vede invece possibile un accordo tra i vari rami che confermi l’assetto attuale?
«Di certo Edizione ha una struttura manageriale molto forte, con operazioni rilevanti da gestire in questo momento a partire da Atlantia, che spingono per la continuità di chi le ha create».
La struttura di Edizione come una sorta di rete di protezione.
«È solida e viene da una storia antica che inizia negli anni Ottanta. È il grande merito di Gianni Mion che l’ha messa a punto».
In questa prospettiva, diventa rilevante il ruolo del presidente Fabio Cerchiai. Un nuovo Mion, stavolta però soprattutto per le doti diplomatiche capaci di tenere unita la famiglia?
«Credo sia nelle corde degli attuali manager e della squadra di Edizione. E poi Cerchiai è uomo di grande esperienza e cultura manageriale, che viene dalle Generali e che non a caso Mion volle al vertice di Atlantia».
E il rilancio di Benetton group?
«L’aspetto positivo è che stia tentando di rilanciarla chi l’ha creata. Ci ha messo la faccia. Poi si tratta di un’impresa di non poco conto. Il mercato è complicato, ha la capacità di rendere la vita difficile anche ai marchi migliori».
Senta, ma se dovesse ricordare una cosa di Gilberto Benetton?
«Era una persona di buon senso, mai arrogante. E soprattutto con grande capacità di ascolto e di far tesoro di quel che ascoltava. Secondo me era il suo punto di forza. Il suo è un bell’esempio di chi parte dal basso e con l’apprendimento del fare diventa una persona notevole».