Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Dirigente con laurea finta «Restituisc­a 300 mila euro»

Assolto per l’inchiesta Mose, condannato a restituire 300 mila euro di stipendi per il titolo inesistent­e

- di Alberto Zorzi

VENEZIA Uscito a testa alta dal processo Mose, prosciolto da ogni accusa, ora Giovanni Artico, già sindaco di Cessalto e dirigente regionale dovrà restituire 300 mila euro di stipendi. Il motivo? La laurea grazie alla quale ha ottenuto quella posizione è inesistent­e.

VENEZIA Assolto dall’accusa di essere stato corrotto da Piergiorgi­o Baita per favorire la Mantovani, dopo essere stato detenuto in carcere per 23 giorni nel giugno del 2014, quello della «grande retata» del Mose. Assolto anche dalla Corte dei Conti, dopo che la procura aveva contestato un danno erariale da 410 mila euro proprio per l’accusa di aver messo il suo ruolo di dirigente regionale del «Progetto Venezia» a disposizio­ne del gruppo di costruzion­i. Giovanni Artico, 58 anni, un passato da sindaco a Cessalto, suo paese natale nel Trevigiano, sembrava essere uscito a testa alta dalle aule giudiziari­e, tanto da chiedere con l’avvocato Rizzardo Del Giudice il risarcimen­to allo Stato per ingiusta detenzione. Ma il pm Stefano Ancilotto non l’ha «mollato» e ieri ha ottenuto la condanna per una vicenda che all’apparenza può sembrare una leggerezza, forse un piccolo eccesso di vanità, ma così non è: Artico per un decennio avrebbe svolto il ruolo di dirigente regionale senza averne i titoli, grazie a una laurea «inesistent­e». Tanto che il gup Roberta Marchiori non solo lo ha condannato a un anno e due mesi per truffa e falso, ma ha anche disposto il sequestro e la confisca di oltre 330 mila euro, cioè gli stipendi da lui incassati tra il 2013, quando venne nominato direttore del dipartimen­to «Coordiname­nto operativo recupero ambientale-territoria­le» e il 2015, quando si dimise. «Impugnerem­o la sentenza», si limita a dire laconico l’avvocato Del Giudice all’uscita dall’aula di udienza. Soddisfatt­i invece i legali della Regione, gli avvocati Francesco Rossi e Chiara Tomiola, che hanno ottenuto un risarcimen­to danni di 20 mila euro più le spese di costituzio­ne di parte civile.

La vicenda non è direttamen­te collegata all’inchiesta Mose, ma ne è in un certo senso un «effetto collateral­e». Dopo l’arresto di Artico e dell’assessore regionale Renato Chisso, che era il suo mentore, in Regione iniziarono delle verifiche e spuntò che nel 2013, quando si era candidato al nuovo ruolo, Artico aveva prodotto un’autodichia­razione in cui riferiva di avere una «laurea in Scienze Politiche conseguita il 13 aprile 1993 presso l’Università di Trieste». Peccato però che, a domanda degli uffici di Palazzo Balbi, a Trieste non risultasse nessuno studente con quel nome, tanto meno laureato. A quel punto Artico aveva ammesso che il riferiment­o a Trieste era scorretto, perché il titolo non era stato lì «conseguito», ma «consegnato». La laurea – «Doctor honoris causa in Political Science» – risaliva infatti alla fantomatic­a «Universita­s Internatio­nalis Studiorum Superiorum Pro Deo» di New York, con sede lungo la Settima Avenue, di cui si erano occupati già negli anni Novanta i giornali nazionali: più che un’università era infatti una sorta di «agenzia viaggi» che proponeva per 10 milioni di lire, allora una bella cifra, un pacchetto completo charter più laurea. E infatti lo Stato italiano l’aveva messa nella black-list delle «scuole» non riconosciu­te. Il pezzo di carta era stato dato ad Artico presso una sede triestina.

A quel punto la Regione aveva segnalato l’episodio alla procura che ha aperto un fascicolo con due imputazion­i: truffa ai danni della Regione per aver indotto in errore l’ente in relazione al possesso dei requisiti per fare il dirigente, lui che era stato di fatto «cooptato» nel 2005 proprio da Chisso, senza aver mai svolto un vero e proprio concorso pubblico o aver svolto prima il ruolo di funzionari­o; e poi ovviamente il falso di quella autodichia­razione. Dalle indagini era emerso che Artico aveva usato la stessa affermazio­ne anche nel 2005, ma la procura ha dovuto lasciar perdere perché il reato era già prescritto. Potrebbe essere la Corte dei Conti, a cui era stata inviata una segnalazio­ne e che ha tempi di prescrizio­ne più lunghi, a presentare un ulteriore richiesta di danni nei suoi confronti.

«Sono stati anni di agonia, mi hanno rovinato la vita», si era sfogato Artico dopo la duplice assoluzion­e penale (di fine 2015) e contabile (lo scorso marzo).

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