Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

L’angoscia dei lavoratori: «Una lenta eutanasia»

Tra gli operai in bilico: eravamo fieri della fabbrica, ci hanno fatto vergognare

- Di Davide Orsato

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Il delegato Molti faranno festa per la chiusura Ma sbagliano

TRISSINO (VICENZA) «È stata una lenta eutanasia. Ci hanno anestetizz­ato». Davanti alla Miteni sono rimasti loro, i «vecchi della fabbrica». Quindici persone in tutto. Tutti con minimo altrettant­i anni di lavoro sulle spalle. Ci sono gli striscioni, le bandiere dei sindacati. C’è un’auto dei carabinier­i che li guarda dalla distanza di pochi metri. Dopotutto, è una manifestaz­ione organizzat­a, con richiesta giunta in Questura a Vicenza. Ma ha quasi l’aria di essere un ritrovo fra veterani, anche se non uno di quelli in cui si brinda al passato. Questa volta sull’azienda di Trissino incombono gli spettri inquietant­i della chiusura. Federico Pellizzaro, delegato Cisl, parla da una sedia pieghevole, particolar­e che scatena qualche battuta («C’è la tua regia dietro tutto questo?» gli dicono ridendo i colleghi). Per lui i problemi, più che nel 2013, quando si comincia parlare degli allora sconosciut­i (almeno all’opinione pubblica) Pfas, sono da retrodatar­e al 2008. «È l’anno in cui Mitsubishi ed Eni (da cui Miteni, ndr) lasciano l’azienda al fondo Icig. È stata la pietra tombale per questa impresa». L’Internatio­nal Chemical Investors group, sede amministra­tiva a Francofort­e, sede legale (e fiscale) in Lussemburg­o è il soggetto che, materialme­nte, ha deciso venerdì per l’istanza di fallimento. Tra i lavoratori della Miteni, non gode di buona fama. «Da allora zero investimen­ti - dice Andrea Marinello, operaio di lungo corso - e pensare che quest’azienda era all’avanguardi­a, quasi fantascien­tifica. C’era da esserne fieri a lavorarci». Già, «l’orgoglio» Miteni: quelli di essere figli, in fondo, di un laboratori­o di ricerca all’avanguardi­a, la Rimar, di proprietà della Marzotto. Tutt’altra musica, invece, da quando è scoppiato l’affaire Pfas. «Naturalmen­te i lavoratori hanno la coscienza pulita - spiega Pellizzaro - ma fuori da queste mura, bisogna stare attenti a pronunciar­e il nome Miteni, per molti, a lavorare qui, c’è quasi da vergognars­i. Nessuno ci ha mai fatto una colpa, ma abbiamo visto come sono cambiate le cose. Una volta si andava al bar, si parlava del proprio mestiere a testa alta. Adesso, invece, la gente se va bene ti compatisce».

La notizia della presentazi­one di istanza di fallimento non è stato il classico fulmine a ciel sereno. Era una delle possibilit­à, dopo il concordato preventivo di giugno. Ma quasi nessuno si aspettava arrivasse così in fretta e in questo momento. Venerdì sera i lavoratori sono stati avvertiti con una catena di Sant’Antonio di messaggi via Whatsapp. Li hanno ricevuti anche persone ormai in pensione. A far visita al manipolo di ex colleghi davanti all’azienda, un presidio che non viene visto da nessuno (l’ingresso, sul lato che dà sulla trafficati­ssima statale 246 è nascosto da altri stabili) salvo che dai i diretti interessat­i, c’è anche uno di loro, che preferisce rimanere anonimo. Quand’era operativo era in prima fila in tutte le battaglie sindacali. Alla notifica apparsa sul suo smartphone si è trattenuto - dice dal rispondere con una bestemmia. «Come si fa a ridurre un’azienda del genere in questa situazione? Semplice: niente innovazion­e, né investimen­ti... ci hanno mangiato sopra e basta». E pensare che - assicurano i dipendenti - il mercato ci sarebbe eccome. «Alla fine - dice Marinello - le aziende che, in Italia, hanno i permessi per trattare l’acido fluoridric­o. E si tratta di prodotti che si continuano a usare».

Cosa accadrà ora? Una delle ipotesi resta la chiusura a Natale. Ai delegati sindacali (e non solo) è arrivata voce di trattative per la cessione. Ci sarebbe, in particolar­e un candidato, ma c’è molto scetticism­o al riguardo.

I lavoratori della Miteni non si tirano indietro alla questione più fastidiosa. C’è gente che, se venisse annunciata la chiusura, festeggere­bbe. «Lo sappiamo - conclude Pellizzaro -. E sbagliano. Perché un conto è l’inquinamen­to storico, un conto quello che viene fatto ora. E, finché gli impianti restano accesi, ci sarà controllo e ci sarà attività di depurazion­e». Dopo? La domanda si intreccia con quello che sarà il tormentone dei prossimi mesi. Miteni pagherà la bonifica? «Pagheranno i cittadini, in un modo o nell’altro» è la risposta convinta che arriva dai manifestan­ti.

Intanto, in una nota congiunta, le federazion­i chimiche di Cgil, Cisl e Uil, si appellano alle istituzion­i. A cominciare da quelle regionali: «Con la risoluzion­e di agosto - ricordano le sigle - il consiglio ha impegnato la giunta a promuovere azioni volte alla tutela sanitaria, salariale e occupazion­ale dei lavoratori della Miteni». Ma viene chiamato in causa anche il ministro del lavoro, Luigi Di Maio e la sua collega trissinese Erika Stefani. «Ci aspettiamo un loro intervento».

"L’operaio Lavorare qui, una volta, era motivo di grande orgoglio

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 ??  ?? Sotto la pioggia Il presidio di ieri dei lavoratori Miteni (Parisotto)A sinistra, Federico Pellizzaro, delegato sindacale
Sotto la pioggia Il presidio di ieri dei lavoratori Miteni (Parisotto)A sinistra, Federico Pellizzaro, delegato sindacale
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