Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Dopo la strage degli alberi «Riaprire la segheria fallita»
Domani vertice dei sindaci. La stima: sono cadute 500 mila piante
ASIAGO Lavorare la legna il più possibile in loco, per evitare che deperisca. Come? Riaprendo una segheria fallita nel 2013.
ASIAGO Non si farà tempo a finire di festeggiare i cento anni dalla fine della Grande Guerra che si comincerà con riunioni, briefing e i primi interventi. Il 4 novembre del 1918 l’Altopiano si presentava devastato, le case distrutte dai bombardamenti. Dato un tetto agli abitanti, alle migliaia di profughi e sfollati si pensò agli alberi. È storia: fu un processo che ridisegnò completamente il paesaggio: la «vecchia» foresta di latifoglie venne sostituita dalle più produttive conifere, dando a questo pezzo di Veneto l’aspetto di una terra boreale.
Fatte le debite differenze, a un secolo esatto di distanza, accadrà qualcosa di simile. Certo, non si esce da un conflitto armato («Non ci sono vittime, per noi non c’è notizia migliore» è il primo commento del sindaco Roberto Rigoni Stern) ma l’emergenza ambientale — come molti asiaghesi hanno prontamente ricordato — è paragonabile solo a quella del primo dopoguerra. E così, ancora una volta, data una risposta ai bisogni primari dei cittadini (in tutto l’Altopiano la corrente elettrica è fornita da gruppi elettrogeni e le comunicazioni telefoniche faticano ancora), si penserà al patrimonio boschivo.
Ne comincerà a parlare la politica proprio domani: al Leitner, il monumentale ossario, si ritroveranno gli amministratori locali dell’Altopiano, assieme al sindaco di Vicenza, nonché neopresidente della Provincia, Francesco Rucco e ai vertici della protezione civile regionale. Sarà l’occasione per stilare un primo piano coordinato.
«Dal punto di vista forestale ed economico siamo davanti a qualcosa di inedito, almeno negli ultimi anni — sottolinea Rigoni Stern — in passato c’è stata qualche tromba d’aria, ma in quel caso il danno era limitato a piccole superfici. Adesso la questione riguarda tutto l’Altopiano, a macchia di leopardo».
Che fare, dunque? Chi se ne intende di legname sa che ci sono tempi stretti da rispettare. «Ci sono due anni di tempo per raccogliere la legna da terra», afferma Daniele Zovi, generale della forestale in pensione, considerato uno dei massimi esperti del patrimonio boschivo altopianese. Sembra un tempo infinito ma... «Sono attività che si riescono a fare solo sei - sette mesi all’anno. Con la neve è molto difficile e non si può lavorare nemmeno nelle giornate di pioggia». Insomma, il tempo è tiranno, e l’ufficio patrimonio del Comune comincia già a fare i conti.
Secondo l’antico diritto di tradizione germanica, assimilabile alle «regole» cadorine, i boschi sono proprietà degli abitanti di antica schiatta locale. Per conto loro, l’amministrazione mette all’asta il legname. «Ci aspettiamo un crollo delle offerte — pronostica Rigoni Stern — alla luce del fatto che non siamo l’unica zona a fare i conti con questo disastro».
Una possibile soluzione la ipotizza Zovi, voce molto ascoltata dalle amministrazioni locali. «Occorre fare il possibile per lavorare il legno nelle sue prime fasi, come ad esempio la cippatura già in Altopiano». Peccato che, se la manovalanza, data dalle imprese boschive, è ancora molto presente, ad Asiago e dintorni siano rimaste solo due segherie di dimensioni importanti, già indaffaratissime. Nel 2013 è fallita la maggiore, l’Asiago Legnami, che aveva debiti per otto milioni. «Potrebbe essere recuperata, si tornerebbe ad avere una nuova segheria consortile — dice ora Zovi — lavorando il legname in loco sarebbe possibile anche promuoverlo con un marchio apposito, come “Legno dell'Altopiano”». Altre voci, come quella di Giorgio Sambugaro, operatore boschivo di Gallio, suggeriscono di portare il legname in riva ai corsi d’acqua (il più vicino è il Brenta). «Lo fanno in Germania e in Austria — spiega — quando succedono cose del genere. Si preserva l’umidità del legno, soprattutto d’estate. In questo modo si riesce a ritardare l’invecchiamento».
Idee che verranno discusse a partire dalla prossima settimana. Quel che è certo è che in ogni caso servono investimenti. «Su quel fronte si farà fatica — predice Giancarlo Bortoli, già presidente della Comunità Montana e vicepresidente della provincia di Vicenza in quota Psi, esperto di storia locale— politicamente non contiamo quasi niente, l’unica, per affrontare l’emergenza è fare squadra con il Bellunese. L’Unione montana non ha risorse e i guardiaboschi sono pochissimi»
La mappa dei boschi divelti comincia dal Costo (la strada principale che sale dalla pianura) e prosegue sulla Val d’Assa, sulla strada che conduce a Lavarone, sulla Marcesina e sulle Melette. Le ultime stime parlano di 500 mila alberi caduti su un patrimonio che ne contano undici milioni. «Ma per i conti definitivi ci vorrà moltissimo — conclude Bortoli — basta pensare che non si è ancora messo piede nelle malghe, ci sono solo voci su quante possono essere danneggiate. Non mi sorprende il paragone con la prima guerra mondiale. Tutti gli altopianesi hanno visto le foto in bianco e nero con i crateri e gli alberi attorno. È la prima cosa che ci viene in mente».
"Daniele Zovi Occorre lavorare il legno per quanto più possibile in loco, per evitare che si usuri
"Rigoni Stern Colpito tutto il territorio a macchia di leopardo Mai successo prima