Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Impianti: piste cancellate e tralicci caduti Dolomiti, la stagione sciistica è a rischio
Gli operatori: «Non c’è più tempo». Caner: «Turismo priorità, usiamo i fondi di confine»
VENEZIA Giganti pietrificati dall’assenza di energia elettrica, gli impianti di risalita del Bellunese vegliano le vestigia di piste da sci cancellate dalla furia della tempesta. «L’acqua che si incanalava sulle piste spiega Stefano Illing, presidente degli impianti a fune di Arabba-Marmolada - si è letteralmente divorata la terra». L’istantanea che ben rappresenta l’emergenza nell’emergenza è proprio quella degli impianti a fune, danneggiati dalla caduta di centinaia di alberi, le corde d’acciaio che penzolano nel vuoto ma soprattutto l’energia elettrica svanita - e i generatori in questo caso non possono certo bastare di fronte ai megawatt necessari - e il fondo delle discese lacerato. Restano brandelli da ricomporre e da ricomporre in fretta. «Se nevica prima di dieci giorni - continua Illing - possiamo dire addio alla stagione invernale e con lei a buona parte dell’economia della montagna veneta. È una corsa contro il tempo per ripristinare tutto prima delle neve ma io sto cercando un escavatore che non si trova. Sono tutti giustamente impegnati per liberare le abitazioni o le strade. Serve un intervento immediato». Più che un appello, un grido di dolore da chi gestisce gli impianti. In molti casi, spiegano da Belluno, non si hanno ancora notizie di alcuni siti per la risalita. Colpa dei telefoni fissi ormai muti, dei cellulari che hanno segnale a singhiozzo, del traffico dati svanito.
Perde il consueto aplomb anche Marco Michielli, presidente di Federalberghi: «Sono al telefono da giorni con i miei albergatori della montagna e sono telefonate strazianti. Mai percepito una catastrofe di queste proporzioni. E fa male, malissimo, la scarsa visibilità soprattutto sulle tv nazionali. I bellunesi si sentono abbandonati da Dio ma devo spezzare una lancia per il governatore Luca Zaia, ci ho appena parlato. È davvero sul pezzo. A lui ho chiesto di fare pressione su Enel e Terna perché l’energia significa gli impianti di risalita, e senza quelli il traguardo del tradizionale avvio della stagione sciistica, l’8 dicembre, si allontana inesorabilmente. A ogni telefonata con gli albergatori colpiti da questo disastro mi sento dire che può essere la fine del turismo per la montagna. Un colpo al cuore, la mia risposta è che ci rialzeremo, abbiamo i Mondiali e poi le Olimpiadi. E, infine, dico che il governo lo testeremo proprio su questo do- loroso banco di prova».
La fame di energia del sistema turistico montano deve vedersela con un livello di distruzione talmente esteso da essere di difficile comprensione. «I problemi più gravi sono due: - riassume Illing - ci sono danni rilevanti in termini di erosione sulle piste e ancora non riusciamo a completare una ricognizione esaustiva per le comunicazioni difficili. E poi la distruzione delle linee dell’alta tensione. Quella dell’Agordino è seriamente compromessa, la linea del Giau non esiste più, i tralicci sono crollati tutti e il giro del Sella sul lato verso Arabba non è alimentato. Io sono sulla Marmolada che è senza energia essendo legata alla linea di Rocca Pietore. Siamo in seria difficoltà e ancora non abbiamo segno di una presa di coscienza della situazione. Parliamo di centinaia di tralicci al suolo, di alcuni non si ha addirittura più traccia e di decine di chilometri di cavi da riposizionare presto, il più presto possibile perché la neve incombe».
Federico Caner era già in auto per raggiungere Alleghe e i suoi alberghi invasi dall’acqua e dal fango del lago tracimato ma l’assessore regionale al Turismo ha dovuto desistere per la disastrosa viabilità su Cencenighe: «Può sembrare prematuro parlare di turismo in giorni ancora di piena emergenza ma non è così. È vero il contrario, qui parliamo dell’economia di un intero territorio che rischia grosso. La priorità ora sono le linee elettriche e le strade da sgombrare e mettere in sicurezza. Siamo consapevoli che il punto cruciale su cui intervenire è l’alimentazione e la sistemazione degli impianti. Per il resto stiamo pensando a interventi straordinari per venire incontro all’economia montana perché è un sistema legato a doppio filo: impianti, alberghi, ristoranti, commercio e artigianato».
Bisogna far presto e servono fondi, subito. Caner propone, nell’attesa di stanziamenti governativi per lo stato di calamità, di metter mano ai fondi dei comuni di confine: «Vista la situazione chiedo di ridefinire con i sindaci la suddivisione dei fondi di confine. Sono fondi destinate alle infrastrutture e quindi adatti, a partire dagli impianti». A presiedere, da poco, il Comitato paritetico che gestisce gli 80 milioni messi annualmente a disposizione da Trento e Bolzano è il leghista bellunese Paolo Saviane che spiega: «La questione non si decide in due giorni. Di quegli 80 milioni 24 vanno ai comuni di confine e altri 56 sono erogati in base a bandi per progetti di area vasta. Per il prossimo triennio possiamo ragionarci. Per ora punterei sul fondo di garanzia nazionale». In queste ore anche Cortina si lecca le ferite ma la situazione sembra meno drammatica. «La corrente è stata ripristinata ovunque così come le vie d’accesso - spiega Roberta Alverà, Federalberghi Cortina - naturalmente tutti gli alberi caduti non sono ancora stati sistemati ma pian piano si torna alla normalità. E per fortuna i nostri impianti non sembrano danneggiati». Nel frattempo, a Belluno, Walter De Cassan, presidente della Federalberghi provinciale, racconta che il suo albergo, in zona Arabba, non ha riportato neppure un graffio ma che i boschi fantasma tutt’intorno provocano «una sensazione di spaesamento che non passa. Oltre ai timori per la stagione invernale - spiega De Cassan - preoccupa la stagione estiva. È cambiata la fisionomia del territorio». Un punto su cui insiste anche Mara Manente, direttore del Ciset: «La neve coprirà le cicatrici, il problema di percezione mutata sarà nei mesi estivi quando la mancanza di un paesaggio con i boschi tradizionali si farà sentire. Tanto più che i tempi per ricreare il paesaggio si misureranno in almeno un secolo». Danni enormi al paesaggio anche nell’altra zona rossa, quella dell’Altopiano di Asiago su cui, però, non si segnalano danni a piste e impianti come le Melette, Enego 2000, Cima Larici e Verena 2000.
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