Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Cavallo vincente non si cambia Il volano 4.0 non va frenato»
Manovra, parla Zoppas: «Ci serve il turbo. Dalla mini-Ires ritorni limitati»
VENEZIA «Cavallo che vince non si cambia. Vorrei si capisse la necessità della massima prudenza prima di mettere mano a manovre giuste e rischiare di far prendere una china negativa alle nostre imprese». Nella metafora di Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, il veloce destriero è Industria 4.0, il pacchetto di provvedimenti varato dai precedenti governi grazie al quale, con un mix di incentivi fiscali molto usati (Super e Iper ammortamenti sugli investimenti e crediti d’imposta per i costi di formazione), un alto numero di imprese italiane ha creduto nell’innovazione e affrontato una energica virata verso la cultura digitale.
Gli incoraggiamenti in vantaggi fiscali, però, nella bozza legge di Bilancio in via di definizione sono vistosamente diminuiti, fino ad azzerarsi sulla formazione. E gli strumenti con l’ambizione di essere sostitutivi, leggi la mini-Ires, che riduce l’imposta al 15% sugli utili reinvestiti, per gli industriali sono una medicina omeopatica, cara quanto dubbia. «Ci costerà 1,5 miliardi – osserva Zoppas – con un ritorno del tutto marginale rispetto agli incentivi precedenti».
Presidente, la disattenzione sul 4.0 è il tema della Finanziaria che vi rammarica di più?
«Molto francamente ci aspettavamo che le misure venissero rinnovate: il nuovo business che quella legge ha generato pensavamo fosse evidente. Alla luce di ciò, anzi, sarebbe stato ragionevole raddoppiarne la dotazione. Il volano che ha messo in moto non è confrontabile con quelli che la nuova manovra riuscirebbe, forse, ad avviare».
È indizio della «cultura antindustriale» che più di qualcuno intravede?
«L’impianto industriale italiano oggi ha bisogno di molto di più, specie in un contesto europeo che esprime segnali di crisi e lascia presagire una nuova contrazione. Per tornare a sviluppare competitività sui mercati globali, in sostanza, abbiamo bisogno del turbo».
Veneto Lavoro, in una sua indagine, ha messo in evidenza come su 10 pensionamenti in Veneto solo 4 siano sostituiti da forze giovani.
«Non mi sorprende affatto. Il rallentamento delle assunzioni e delle conferme dei contratti a termine riflettono proprio la paura di un mercato che non si sta più espandendo».
C’è anche chi percepisce una certa timidezza di Confindustria nel far sentire le proprie ragioni al governo.
«Non mi sembra. Negli ultimi giorni sia il presidente nazionale, Vincenzo Boccia, sia quello di Assolombarda, Carlo Bonomi, hanno parlato in modo schietto dei limiti della manovra. Allo stesso modo è stato più volte fatto notare come il ‘decreto dignità’ non abbia inciso in modo percettibile sulle dinamiche dell’occupazione».
Fossero convocati tavoli di confronto governo-categorie economiche si potrebbe giungere a correzioni?
«Con un confronto si potrebbero evitare molti errori. Ci sono studi e scienze sottostanti alle nostre posizioni che spiegano bene perché certe scelte non funzionerebbero. Dovremmo avere il modo di esprimere le nostre opinioni sulla base dell’esperienza. È anche chiaro che, per la complessità di questi argomenti, non possiamo certo andare a spiegarci con i tweet o con interventi sui social network.
"Il leader di Confindustria Serve prudenza nel toccare soluzioni efficaci Stop ai tweet e avviamo un confronto vero
Nessuno si aspetti che Confindustria possa intervenire sui canali prevalenti e con il linguaggio della politica di oggi».
Perché utilizzare i social per parlare direttamente agli italiani non sarebbe una buona idea?
«Ridurre teorie e teoremi allo spazio dei post o dei tweet rischia di far più male che bene. Si ottiene l’effetto di trasmettere indicazioni di scarsa coesione fra le parti che si traducono in perdita di credibilità. Si sta generando un astio fra le varie categorie che non porta a nulla di buono. Bisogna conservare la salubrità del Paese e del suo sistema economico prima di ragionare sul consenso elettorale. In questi giorni mi trovo all’estero e molti interlocutori che incontro mi segnalano capitali in uscita dal nostro Paese. E investitori che preferiscono indirizzare i propri progetti non più in Italia».
Sintetizzando, l’invito che lei si sente di rivolgere a chi pilota la politica nazionale oggi qual è?
«Insisto: estrema prudenza. La direzione che stiamo prendendo è potenzialmente molto pericolosa, gli indicatori di debolezza si stanno facendo netti e non possiamo permetterci errori ai quali potremmo andare incontro decidendo cambiamenti senza riflettere adeguatamente. Si stanno minando le basi di una crescita per recuperare la quale si renderebbero poi necessari investimenti dieci volte più pesanti».