Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Errori memorabili
Dai Google glass al Segway al rigore sbagliato di Baggio ai flop di Einstein: cantonate che hanno fatto storia
Baggio nella finale mondiale. E ancora, l’errore di comunicazione che «fece breccia nel Muro di Berlino».
Professor Bucchi, perchè un libro sull’errore?
«Ci pensavo da tempo, e per vari motivi. Quello più autoironico e autobiografico è la questione legata al mio nome, che sono in molti a sbagliare. Ma soprattutto perché mancava una sociologia dell’errore, mentre ci sono diversi studi sulla psicologia dell’errore. Il volume fa un po’ da contraltare a Per un pugno di idee, in cui racconto di innovazioni riuscite. Soffermarsi sugli insuccessi, i fallimenti, è altrettanto interessante, ma più difficile. Parliamo sempre di Google e quasi mai del perché tanti altri motori di ricerca sono falliti»
Ma perché è così difficile per la nostra società fare i conti con l’errore?
«Alla fine l’errore è l’unico vero tabù che ci è rimasto. Crediamo di trarre dagli errori lezioni per il futuro, quando invece li stiamo proiettando sul passato per allontanarli da noi. Li rivestiamo di una patina luccicante e perfino romantica di anticamera per il successo, non sapendo o non volendo accettare gli errori come tali. Rimuovendo o ridefinendo gli errori, spesso perdiamo di vista ciò che di più interessante possono dirci. Perché noi siamo anche i nostri errori»
Sbagliare da professionisti, un titolo che richiama una sottile ambiguità.
«Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti: il titolo ovviamente richiama Boogie di Paolo Conte. L’ho scelto perché non sbagliare non è possibile, ma è fondamentale almeno averne consapevolezza. L’altro mito da sfatare riguarda il fare sempre dell’errore un momento costruttivo. L’errore è errore. Si può imparare qualcosa, ma questo non garantirà mai che non si ripeta, in quella o in un’altra forma».
Fa riferimento alla «natura collettiva» dell’errore?
«La scelta delle storie corrisponde a tre obiettivi, e il primo è riconoscere appunto l’errore come un processo collettivo, mentre le organizzazioni, i media, le istituzioni giudiziarie sono spesso orientate – e per motivi comprensibili – a individuarne il responsabile individuale. Perfino un rigore decisivo sbagliato, o un intervento chirurgico fallito sono spesso il terminale di situazioni che hanno reso possibile l’errore. Il secondo intento è mettere in luce che parlare di errori significa fondamentalmente parlare del nostro modo di guardare agli errori, del nostro punto di vista».