Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Un edificio su dieci a rischio alluvione beni architettonici tra i meno protetti
Studio Ispra, Veneto tra le regioni più esposte. Intanto è allerta per la piena del Po
VENEZIA La morfologia non aiuta, ma nemmeno il consumo del suolo, che fa del Veneto la maglia nera d’Italia, con 1.134 ettari «mangiati» in un anno (un quinto dei 5211 «spariti» in tutto il Paese) e una percentuale di incremento pari allo 0,50%. Oltre il doppio della media nazionale, ferma allo 0,23%. Morale: la nostra è la regione più colpita dalla cementificazione e dall’impermeabilizzazione del territorio, situazioni che hanno contribuito a trasformarla in una delle realtà maggiormente a rischio alluvioni, insieme a Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia e Piemonte. Lo rivela l’ultimo rapporto sul «Dissesto idrogeologico» diffuso dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che ha aggiornato la mappa della pericolosità idraulica in base ai dati forniti dalle Autorità di Bacino.
Sono stati tracciati tre livelli di rischio: P3, cioè elevato e con tempo di ritorno fra 20 e 50 anni (alluvioni frequenti); P2, ovvero medio e con tempo di ritorno fra 100 e 200 anni (alluvioni poco frequenti); e P1, basso, con scarsa probabilità di alluvioni o scenari di eventi estremi. Rispetto al 2015 emerge un incremento dell’1,5% delle zone a pericolosità idraulica P3, del 4% dei territori a indice P2 e del 2,5% della superficie a parametro P1. Gli incrementi sono legati all’integrazione di aree precedentemente non indagate, all’aggiornamento degli studi di modellazione idraulica e alla perimetrazione di eventi recenti. Il Veneto rientra nell’indicatore P2, con 1.713 chilometri quadrati su un totale di 18.407, quindi la superficie minacciata dalle alluvioni è pari al 9,3%. In particolare sono in pericolo: 460.668 residenti, il 9,5% dei 4,9 milioni complessivi; 193.397 famiglie (il 9,7%); 102.551 edifici (l’8,4%); 44.512 imprese (il 10%); e 4397 beni culturali (il 18,3%). Per quest’ultima voce, Venezia è ai vertici, con Ferrara, Firenze, Genova, Piacenza, Ravenna e Pisa.
«Il Veneto è a forte rischio soprattutto a causa del consumo del suolo — conferma il professor Pasqualino Boschetto, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica all’Università di Padova e presidente della Federazione regionale degli Ordini degli Ingegneri —. Il nostro modello insediativo, studiato in tutto il mondo come sistema di sviluppo degli anni ‘80, non è più in grado di reggere una crescita tanto importante e spesso non programmata. Abbiamo censito 5mila zone industriali, all’interno delle quali molti edifici sono abusivi, poi condonati ma comunque riconosciuti in zone improprie. Nel piano regionale di programmazione territoriale bisogna introdurre politiche di gestione del fenomeno — aggiunge Boschetto — per esempio garantendo incentivi fiscali a chi si mette in regola».
La situazione, almeno dal punto di vista dei freddi numeri, è meno allarmante sul fronte frane: il Veneto ha le percentuali di rischio più basse d’Italia. Sono in pericolo: lo 0,1% della popolazione (6684 abitanti); lo 0,1% delle famiglie (2906); lo 0,3% degli edifici (3570); lo 0,1% delle imprese (536); lo 0,4% dei beni culturali (105). «Questi dati appaiono trascurabili se rapportati all’intera superficie regionale, ma diventano preoccupanti se riferiti alla montagna, la vera porzione di territorio minacciata dalle frane — avverte Massimo Coccato, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Padova —. Quanto al rischio alluvionale, deriva anche dalla conformazione del territorio e dai cambiamenti climatici, che hanno modificato l’intensità degli eventi, soprattutto quelli localizzati in piccole aree. Ricordiamoci poi che in Veneto scorre la rete idrografica più importante d’Italia, siamo circondati da Po, Tagliamento, Brenta, Bacchiglione, Adige, Piave. Siamo in una terra d’acque, parte della quale sotto il livello del mare. Come difendersi? Portando avanti il piano predisposto dalla Regione — chiarisce Coccato — per ridurre il rischio idrogeologico. E quindi completando la rete dei bacini di laminazione prevista, rinforzando gli argini, pulendo gli alvei dei fiumi, curando i boschi, creando aree di depositi temporanei di detriti e colate e monitorando costantemente la rete idraulica, così da consentire la massima efficienza degli invasi disponibili e lo svaso nei ricettori. Intervenire in emergenza è molto meno efficiente rispetto a un lavoro strategico e costante».
Intanto la Protezione civile regionale ha dichiarato fino alle 14 di domani: l’allerta arancione nel Bacino idrografico Po-Fissero-Tartaro-Canalbianco-Basso Adige e lungo l’asta del Po; l’allerta gialla per criticità sulla rete idraulica principale e idrogeologica nel Bacino Alto Brenta-BacchiglioneAlpone e nei Bacini Alto Piave e Piave Pedemontano. Osservate speciali le frane del Tessina, a Chies d’Alpago, della Busa del Cristo, a Perarolo di Cadore, e del Rotolon, a Recoaro. In questi Comuni permane l’allerta rossa.