Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Rigoni Stern e gli abeti rossi: «Ora rinasca un bosco diverso»

Il figlio dello scrittore: «Mio padre avrebbe fatto così»

- Benedetta Centin

ASIAGO L’Altopiano di Asiago, da giorni, è una cartolina sinistrame­nte surreale. C’è chi parla di strage, chi di ecatombe di almeno 500 mila, addirittur­a un milione di alberi che si sono piegati alla devastazio­ne. Un pezzo di identità del territorio che viene meno. Ma Gianni Rigoni Stern, figlio di Mario, colui che nei suoi scritti ha reso la montagna vicentina immortale, non se la sente di parlare di «strage» e non usa affatto toni allarmisti­ci. «Non vedo quello che è successo in modo così catastrofi­co. Può accadere nell’arco di cento anni che boschi di abete rosso piantati negli anni ’30, quindi di 70, 80 anni, di età relativame­nte giovane (di solito la pianta vive 400 anni, ndr) ma di impianto artificial­e, siano stati abbattuti in particolar­i aree dove il vento ha espresso la sua forza». Per l’ex forestale «sono fenomeni che fanno parte di un ciclo, di un processo naturale, per quanto sono consapevol­e del danno economico registrato, del fatto che dovranno cambiare i piani di assetto forestale, ma è anche vero che siamo in grado di intervenir­e» racconta mentre apre le porte della sua legnaia e respira a pieni polmoni quel profumo inebriante di materia viva; mentre da dietro gli occhiali la vista gli si riempie dei colori della natura. Anche di quella cartolina surreale che è ora la sua terra.

Nessuno stupore, quindi, per chi la montagna, anche con le sue apparenti contraddiz­ioni, la vive, ne fa parte. «La natura è fatta così» sentenzia il fratello dello scrittore, un ex forestale che ha nel dna il grande amore per le vette e conosce come le sue tasche pascoli, boschi e malghe dell’Altopiano. «Penso che mio padre non avrebbe detto niente di diverso di quanto vi sto riportando – continua l’asiaghese, barba e capelli grigi - In certi momenti si fa punto e a capo per riprendere». Ricomincia­re, ma «con un bosco più stabile - dice Rigoni Stern - Spero nasca un bosco diverso, con alberi con un apparato radicale più profondo ed esteso, con abete bianco, faggio, con frassino e acero a quote più basse. Specie che danno anche diversità biologica». Insomma, basta abete rosso, o peccio, che tanto amava il cantore inarrivabi­le Mario, anche se su questo il figlio precisa: «Papà per la verità amava tutti gli alberi senza distinzion­e». Quell’abete rosso di cui era abituato a respirarne il profumo nell’Altopiano, a partire dall’ambiente più intimo della casa. Quello che, scriveva l’asiaghese, «è sempre stato presente e mi accompagna­va nella vita. Nella casa dove sono nato e ho trascorso la mia giovinezza, i mobili, le scale… tutto era ricavato dai pecci dei nostri boschi: erano alberi feriti dalla guerra...». Il figlio dello scrittore, una vita nei boschi come tecnico, ricomincia da qui. Da quando «dopo la Guerra, la Grande Guerra, l’Altopiano era pelato, e di questo la gente probabilme­nte si è dimenticat­a». Un Altopiano raso al suolo, solo devastazio­ne, desolazion­e. Quella che qualche abitante ha rivisto in questi giorni, dopo la tempesta. «Dopo la Prima Guerra Mondiale avevano lavorato dieci anni per rimboscare la montagna – racconta – Dieci anni, un lavoro importante». E allora si era ripartiti proprio con l’abete rosso. «E’ stato uno dei più grandi rimboscame­nti d’Italia. L’abete rosso era facile da trapiantar­e, e si pensava fosse di qualità migliore rispetto all’abete bianco. Invece quello rosso ha anche radici fragili, e forse è stato usato anche a sproposito».

E a pensare alle distese di peccio, ora un mare di colore disordinat­o in vetta, riaffioran­o i ricordi. Di quando papà Mario raccontava di come fossero state pazienteme­nte «ricostruit­e», rigenerate di verde e vita quelle alture, piantina dopo piantina; ancora prima, quando, ragazzino, andasse a raccoglier­e nei boschi le ceppaie per farne legna da ardere. «Mentre passeggiav­amo tra i boschi mi diceva: “Vedi qua c’era un orto forestale, lì un altro». Mi spiegava come si portassero le piantine e si preparasse­ro nelle varie zone da rimboscare, perché essere piantate nella primavera successiva, con un clima adatto». E poi la caccia ai tizzoni da ardere, alla sopravvive­nza e alla speranza, quelle che la Grande Guerra non era riuscita a distrugger­e. «Papà aveva 17 anni e con i fratelli andava con il carrettino a boschi per cercare ceppi che doveva liberare dalle radici, e a volte servivano delle piccole cariche per far saltare le ceppaie». Oggi non saranno carrettini ma camion a caricare quello che Madre Natura ha lasciato sul campo dopo una lunga notte di assedio. Corsi e ricorsi della storia.

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 ??  ?? Il ricordo Lo scrittore Mario Rigoni Stern insieme ai figlio Gianni sul Monte Ortigara. La foto è stata scattata nel 20O6. Gianni Rigoni Stern è stato una guardia forestale.
Il ricordo Lo scrittore Mario Rigoni Stern insieme ai figlio Gianni sul Monte Ortigara. La foto è stata scattata nel 20O6. Gianni Rigoni Stern è stato una guardia forestale.

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