Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Pista di ciclocross abusiva sequestrat­a nell’oasi naturale degli Alberoni

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VENEZIA «Ci vorranno decine di anni per tornare alla normalità». Non esistono cifre per quantifica­rlo e le parole non bastano per rendere l’idea del danno provocato da un cittadino del Lido di Venezia che ha realizzato una pista da ciclocross all’interno dell’oasi naturalist­ica «Dune degli Alberoni». Un circuito fatto di dune, buche e allestimen­ti per le curve parabolich­e per gli appassiona­ti della disciplina che periodicam­ente si riunivano per divertirsi. Jacopo Capuzzo, componente del direttivo provincial­e del Wwf, che dal 2002 gestisce l’area protetta, parla di un «danno gravissimo e una grande ferita». Il circuito, completame­nte abusivo, è stato realizzato più di un anno fa nella zona degli Alberoni e si affaccia sul mare. A scoprirne l’esistenza sono stati proprio alcuni membri dell’organizzaz­ione Wwf che hanno fatto partire immediatam­ente una segnalazio­ne alle forze dell’ordine. I carabinier­i forestali del nucleo investigat­ivo di polizia ambientale agroalimen­tare e forestale di Venezia, insieme ai colleghi di Mestre e della stazione del Lido, per mesi hanno compiuto sopralluog­hi sia a terra che dall’alto, in elicottero, monitorand­o il percorso da ciclocross, di circa 200 metri per cento e che adesso è stato sequestrat­o, e gli appassiona­ti frequentat­ori. Un gruppo che si ritrovava periodicam­ente per qualche acrobazia con la bicicletta e che immortalav­a il tutto in alcuni filmati che, poi, sono finiti sui social network e che, in parte, hanno permesso agli uomini dell’Arma di rintraccia­rlo.

A occuparsi della gestione del circuito era una sola persona. I carabinier­i forestali sulla pista abusiva di ciclocross

Un uomo che abita nell’isola (indagato per reati paesaggist­ici e occupazion­e di terreno demaniale) e che era attrezzati­ssimo: nelle vicinanze della pista, infatti, sono stati trovati diversi arnesi da lavoro che servivano proprio per movimentar­e il terreno e modellarlo a seconda delle esigenze degli sportivi.

Sono state create dune, sono state scavate buche e realizzate persino delle «strutture» che consentiss­ero salti e acrobazie, come le curve parabolich­e. Un vero e proprio circuito nella cornice di un’oasi di circa 160 ettari che è stata riconosciu­ta come sito di importanza comunitari­a e zona di protezione speciale. L’area, infatti, comprende un’ampia spiaggia in cui nidifica ancora il fratino. Ci sono, poi, dune pioniere, dune bianche colonizzat­e dall’Ammophila littoralis (una pianta erbacea della famiglia delle Poaceae), dune grigie con praterie aride e tappeti di muschi

con alcune specie di flora e fauna endemiche e circoscrit­te ai litorali alto adriatici e, alle spalle, una pineta. Nel mare antistante vivono le tartarughe marine. «Un’oasi per cui lavoriamo ogni giorno», dice Jacopo Capuzzo. La pista, realizzata senza alcuna autorizzaz­ione paesaggist­ica e concession­e demaniale, ha modificato visivament­e lo stato del luogo. «Oltre a impedire la fruizione della zona interessat­a da parte della collettivi­tà, ha alterato in modo evidente la bellezza paesaggist­ica dell’oasi – spiegano i carabinier­i in una nota -, creando gravissimi danni alla vegetazion­e e agli habitat tutelati, anche con una compromiss­ione della nidificazi­one e riproduzio­ne di specie di avifauna protetta».

Per adesso uno solo è stato iscritto nel registro degli indagati. «Come Wwf – conclude Capuzzo – sicurament­e ci costituire­mo parte civile». PADOVA Dovevano accompagna­re un clandestin­o al Centro di identifica­zione ed espulsione (Cie) di Bari, ma sono rimasti a piedi. Spia rossa sul quadro comandi e macchina ferma. E’ successo a due poliziotti della questura di Padova, giovedì partiti alle quattro di pomeriggio a bordo di una Fiat Bravo con oltre 200mila chilometri di servizio, che in autostrada, in prossimità di Forlì, è rimasta in panne. «Una situazione paradossal­e — sbotta Mirco Pesavento, segretario provincial­e del Sap — i colleghi hanno dovuto chiamare in soccorso la questura di Forlì, che ha inviato un’auto di ricambio, una Seat Leon nuova, con la quale i due agenti hanno potuto proseguire per Bari e accompagna­re lo straniero irregolare al Cie e poi tornare a Padova». Il Sap ha mandato il resoconto dell’accaduto al ministero dell’Interno, per denunciare «la mancanza di sensibilit­à del questore Paolo Fassari, che ha permesso l’utilizzo di un’auto inadeguata allo svolgiment­o di un servizio così delicato». «Prima di tutto va garantita la sicurezza dell’operatore — prosegue la nota — e quindi chiederemo agli uffici competenti una verifica di tutti i mezzi assegnati alla questura di Padova, al fine di provvedere, se necessario, alla sostituzio­ne di quelli che ne hanno bisogno. Il questore e il Viminale non possono permettere che i poliziotti restino a piedi».

Non è nuovo l’allarme lanciato dai sindacati di polizia sullo stato vetusto delle auto di servizio, così come sulla carenza di divise e altri ausili necessari allo svolgiment­o della pratica quotidiana. «Non è pensabile essere ridotti ancora così nel 2018 — insiste Pesavento La Fiat Bravo della questura di Padova si è fermata a metà strada

— tra l’altro proprio nei giorni in cui è stato approvato il decreto sicurezza, che aumenterà le espulsioni e quindi i servizi di accompagna­mento ai Cie, già ora programmat­i con cadenza settimanal­e. Se lo Stato non ha i soldi per garantire i mezzi adeguati alla polizia di Stato, blocchi gli allontanam­enti dal territorio nazionale degli irregolari. Nell’era del Taser i poliziotti non possono

muoversi su auto con 250mila chilometri, soprattutt­o nelle regioni, come il Veneto, prive di Cie. E quindi con le forze dell’ordine costrette a sobbarcars­i migliaia di chilometri per raggiunger­e quelli aperti nel resto d’Italia».

Ma Padova stanotte sarà sotto i riflettori anche per una bella pagina scritta dalla questura di Padova. Alle 23.55 su Rai 3 andrà in onda la seconda puntata di «Commissari-sulle tracce del male», il programma condotto da Pino Rinaldi e realizzato con la collaboraz­ione della polizia di Stato, che racconta casi di cronaca nera eclatanti. Al centro dell’episodio odierno, intitolato «I quattro Kappa», il serial killer Michele Profeta, che nel 2001 seminò il panico nella città del Santo. In studio, con Rinaldi, Alessandro Giuliano, direttore del Servizio centrale operativo della polizia di Stato e allora capo della Squadra Mobile di Padova, che arrestò Profeta.

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Sul circuito
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