Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
CATTOLICI TENTATI DALLE URNE
L’impasse è ormai acclarata. Il paradosso è – per chi lo vuol vedere – abbastanza evidente. Il mondo cattolico (che in Veneto è porzione di cittadinanza ancora rilevante) vive una situazione di cortocircuito non indifferente. Due questioni affiorate negli ultimi giorni lo attestano in maniera chiara. Da un lato si moltiplicano i desiderata e le aspettative di un nuovo partito cattolico o di cattolici: che lo si chiami Forum civico, come l’ha definito il cardinale Bassetti in un’intervista su Avvenire, quindi con un profilo più culturale e pre-politico; che abbia una maggior configurazione da partito (il movimento di Sant’Egidio, ad esempio, ben impiantato a Padova, ha già attivato il suo Demos), sta di fatto che nell’elite intellettuale e in quella ecclesiale c’è un certo fermento e un certo brusio pre-elettorale (le Europee sono alle porte). Troppo allarmante è la spinta populista di Salvini e la contestata politica del no dei grillini (guarda caso, assenti dal palco del recente Festival della dottrina sociale della Chiesa organizzato da varie sigle a Verona nelle scorse settimane) per restare alla finestra. Il mondo cattolico pensa ad un nuovo «protagonismo» (così papa Francesco e il cardinale Bassetti, più volte, in tempi recenti) per rispondere alle urgenze del tempo presente: migrazioni, nuove povertà, crisi dell’Europa, sfide ambientali, nuovo welfare. Tutte tematiche su cui il pensiero cattolico e la pratica ecclesiale qualcosa da dire hanno, certamente. Epperò.
Non sarebbe male che tutta questa voglia di politica dei cattolici e di una politica cattolica guardasse in faccia qualche numero. Ad esempio, a quelli (drammatici, per varie ragioni: per la tenuta dei posti di lavori, in primis, e per il significato che vi è dietro, per quanti hanno a cuore un pensiero cattolico) comunicati dai frati del Santo per spiegare il licenziamento in tronco di tutta la redazione del Messaggero. Il rosario dei segni negativi è impressionante: -25% di abbonati al Messaggero di S. Antonio; - 34% di abbonati al mensile per ragazzi; - 14% di vendite nel settore libri per l’editrice dei frati.
Questi numeri dicono alcune cose. Primo, che si sta assottigliano il popolo bianco del Veneto e non solo. Se anche una realtà culturale assodata, popolare nel suo senso più autentico come il Messaggero, legato ad un santuario famoso come il Santo, inanella una serie così drammatica di cifre negative, vuol dire che davvero la secolarizzazione tra l’Adige e il Tagliamento è ormai assodata. Ma c’è un altro aspetto significativo che questi numeri fanno trasparire, soprattutto rispetto alla voglia di politica da parte di cattolici. Ci dicono che se anche la pratica religiosa non subisce un tracollo, e se i santuari sono sempre più frequentati (non si contano i tour operator che dal Veneto organizzano viaggi a Medjugorie), tutto questo sta portando ad una nuova situazione. Ovvero, lo iato che si è aperto tra fede e cultura, cioè la capacità di far interagire il proprio credo con tutti gli aspetti dell’esistenza, si sta trasformando in voragine. Un conto la fede, un altro conto la vita. E così potrà essere (lo è già ora, nel Veneto dove 1 su 3 vota Salvini) anche quando nell’offerta politica ricomparirà la dicitura «partito cattolico». Se il pensiero dei cattolici (la crisi del Messaggero ne è un’avvisaglia, la chiusura di Telechiara un’attestazione, così come il ritiro del Patriarcato di Venezia dall’ambizioso progetto di Fondazione Oasis istituita dal cardinal Scola, per non parlare della crisi dei settimanali diocesani) sta vivendo un travaglio che ha i colori del declino, non pare auspicabile che le speranze di rinascita della significanza cattolica passino dalla prova delle urne. Che, come noto, non misurano la validità di una proposta, ma il suo gradimento. Verità delle cose e successo elettorale restano due rette che solo talvolta si intersecano.