Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Poetic boom boom Il nuovo capitolo di Imago Mundi
A Treviso apre il nuovo capitolo di «Imago Mundi», progetto di Luciano Benetton La parola rivisitata dalle grandi avanguardie
La parola deborda, si fa corpo grafico e carattere tipografico, si svuota e si riempie di senso, provoca e irride, tace e urla dentro le celle candide di calce delle Gallerie delle Prigioni a Treviso nella mostra- che apre oggi e fino al 7 aprile 2019 - dal titolo futurista di «Poetic boom boom». Curata da Mattia Solari e concepita all’interno del progetto «Imago Mundi – Luciano Benetton Collection» (Treviso, Galleria delle Prigioni, Piazza Duomo Ingresso libero, da martedi-venerdì dalle 15 alle 19, sabatoe domenica dalle 10 alle 13,e dalle 15 alle 19), l’esposizione concentra il focus intorno alla bizzarra sorella della poesia, la cosiddetta poesia visiva o concreta, che da tempo immemorabile ma con certificato di nascita più o meno approssimato intorno agli anni 60 del Novecento, coniuga la parola poetica al segno. Si va indietro nei secoli fino ai carmi figurati di Teocrito, passando per Mallarmé, Dada, Futurismi, il movimento di Fluxus, nel cercare la matrice di questa forma d’arte dal doppio codice letterario e visuale ma dove – così come sottende la poesia - la parola è il fondamento e le sue possibili varianti di significato, legate a segni, oggetti, contesto o immagini, rappresentano forme diverse e possibili di senso.
Il confine tra poesia e comunicazione, con evidenti scivolamenti nell’uso pubblicitario di parola e segno/immagine, diventa davvero sottile e la forma poetica chiusa (con il metro, e rime ecc.) resta lontanissima, per cedere il passo, nella oralità, al modo perfomativo e perfino gestuale. In questa sofisticata mostra, dunque, tralasciando figure significative nella elastica storia della poesia concreta o poesia visuale, il centro irradia dalla figura di Sarenco, poliedrico artista della parola morto nel 2017, fondatore della rivista Lotta poetica, eterodosso e mutante, che fa della parola poetica strumento di lotta politica e culturale, spesso eversivo ma anche accattivante, come nell’opera/cancello posta all’ingresso delle Gallerie, evocatrice di altri più terribili cancelli, che recita «Gedicht macht frei» ( la poesia rende liberi ). Accanto e affine a lui Eugenio Miccini irridente e puntuto nell’opera paravento La creazione è compiuta. L’insofferenza verso la letterarietà tipica delle neoavanguardie internazionali spinge il pedale della sperimentazione, così ad esempio, nella composizione (evidente l’eredità di Duchamp) di Paul De Vree Kissinger, del 1973: una vecchia macchina da cucire Singer, preceduta dalle lettere metalliche Kiss.
Delle più di 40 opere presenti, provenienti da tre collezioni, il divertimento della parola, sempre vagamente futurista per fragore e paradosso, sa coniugarsi con soave lievità nella cella tutta femminile dove tre artiste giocano con i segni grafici fino a disincarnarli in ombre e linee (Mirtha Dermisache e Irma Blank) e tessiture cromatiche squisite, racchiuse in fascicoli (Raffaella della Olga). La mostra, di assoluta originalità, offre la consultazione di riviste e libri specializzati e la visione di un documentario sui poeti visivi Julien Blaine, Giovanni Fontana e Sarenco. .