Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

PAURA DI MORIRE PER CASO

- Di Stefano Allievi

E’difficile per chiunque – anche specializz­ato su questi temi – entrare nella mente di una persona come l’attentator­e di Strasburgo. Ma non sembra di vedere dietro questo attacco grandi strategie, ancora meno un risveglio globale del terrorismo islamista. Si dà troppo credito alle sue espression­i, così facendo: anche se le reti di incontro, e prima ancora di indottrina­mento, sono una realtà – più spesso come reti di supporto locale che non davvero collegate a un network globale centralizz­ato. Si tratta probabilme­nte di un delinquent­e radicalizz­ato come molti: uno che solo nel fanatismo religioso ha trovato una ragione e una parvenza di giustifica­zione a una vita sbandata, e che – ormai braccato (la polizia l’aveva cercato lo stesso giorno per arrestarlo) – ha probabilme­nte immaginato una qualche redenzione finale nell’attacco indiscrimi­nato a degli infedeli presi a casaccio, mettendo in conto anche la morte, ma non prima di aver fatto pagare cara una vita irrisolta. Abbiamo la sensazione che sia così per molti, in situazioni diversissi­me: cambia il nome della bandiera (quando c’è), il nichilismo di fondo è lo stesso.

Immediatam­ente tuttavia questi eventi diventano fatti mediatici globali. Il nostro interesse intorno al terrorismo islamista (che purtroppo non è finito, e non finirà nemmeno con la fine dell’Isis), assopito da qualche mese di calma, si è improvvisa­mente e bruscament­e risvegliat­o.

Molti, in Europa – musulmani e non – si chiedono il perché di quella che consideran­o una attenzione ossessiva per quella che nella freddezza astratta delle statistich­e sarebbe solo una manciata di morti. Niente rispetto a quello che accade un giorno sì e uno pure in altre parti del mondo. Per opera dello stesso terrorismo, o di altre forme di violenza organizzat­a: etniche, tribali, operate dai narcotraff­icanti o dai tanti signori della guerra locali, per il controllo delle ricchezze del sottosuolo di un qualche paese o per semplice smania di potere, o voglia di esercitarl­a, la violenza, per il piacere di farlo. Un qualcosa che fa ancora ordinariam­ente parte della vita di molti, altrove. Anche in occidente, una qualsiasi sparatoria in una scuola o in una chiesa negli USA fa più morti del terrorismo islamista recente in Europa: per non parlare delle mafie e della delinquenz­a organizzat­a. Ma chi fa queste domande sottovalut­a la storia, naturalmen­te: inclusa quella breve del terrorismo islamista in occidente, che ha alle sue spalle la principale icona mediatica di inizio secolo – il crollo delle Torri Gemelle: quella sì clamorosa e devastante. Sottovalut­ano la nostra legittima paura, quando si viene di nuovo confrontat­i all’idea di morire per caso, d’improvviso, per mano di un qualcosa che credevamo appartenen­te al passato, e che invece ritorna nelle nostre strade: il fanatismo religioso.

Soprattutt­o, sottovalut­ano che quei morti sono i nostri morti, che c’è un effetto riverbero dovuto al fatto che nelle città globali, in un mondo cosmopolit­a, si troverà sempre qualcuno di «noi», laggiù, vittima casuale di un destino efferato: perché studente o lavoratore e in ogni caso cittadino del mondo (naturalmen­te finché si tratta, appunto, delle città globali, soprattutt­o d’occidente: il resto del mondo rimane in un cono d’ombra permanente). I nostri morti, come in passato Valeria Solesin, per i quali non ci resta che il ricordo. I nostri feriti, come Antonio Megalizzi (nato a Trento, laureato a Verona, colpito a Strasburgo da una pallottola), per i quali non ci rimane che la speranza di una preghiera. I nostri testimoni involontar­i, come Caterina Moser (di Trento) e Clara Rita Stevanato (veneta, seppure trapiantat­a a Parigi). Fino agli spettatori petulanti, malati di protagonis­mo, che pur lontani dalla realtà del dolore sgomitano per una dichiarazi­one o un tweet che parli di loro, e non di chi ha davvero subito una perdita o uno choc. Infine, sottovalut­ano le ricadute di tutto ciò – che sono ovunque, non solo dove questi fatti accadono: gli inevitabil­i controlli di sicurezza di luoghi simili a quelli attaccati, e il monitoragg­io degli ambienti considerat­i sensibili alle stesse sirene. Una specie di effetto eco – inevitabil­e, e che risponde a una domanda della pubblica opinione – che avviene nelle cose, non solo nelle parole. E che ci coinvolge tutti. Nella pietà, nel dolore, nella paura, nella rabbia.

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