Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Scuola veneta a misura d’impresa» protesta dei sindacati
VENEZIA Complice, forse, la fitta cortina di mistero che circonda la «trattativa finale» sull’autonomia, qualche settore comincia ad agitarsi. A partire dal mondo della scuola veneta che, va chiarito subito, è quello su cui l’impatto «autonomista» sarà più forte. Più della sanità, persino. Perché la scuola in Veneto significa oltre 78 mila persone. I dati sono dello Snals regionale: delle 9.290 scuole italiane, 600 sono in Regione. Quindi, va da sé che si contino altrettanti dirigenti scolastici. A questi si aggiungono 48.253 docenti più altri 9.181 insegnanti di sostegno, 15.883 per il personale non docente e 4199 impiegati nei convitti. Un esercito di quasi 80 mila persone che non sa ancora in che
termini cambierà il loro lavoro ad autonomia ottenuta. «Non siamo contrari per principio all’autonomia - spiega Giovanni Giordano dello Snals di Venezia - ma è pure difficile esprimere un giudizio visto che le uniche informazioni disponibili sono quelle inevitabilmente parziali riportate dai giornali. Il problema è tutto qui: il metodo. Non è ammissibile imbastire una riforma potenzialmente storica senza coinvolgere minimamente il mondo della scuola e ricordo che i concorsi per le docenze sono già regionali, le Gae, graduatore ad esaurimento, poi, sono addirittura provinciali». Nei giorni scorsi, poi, Cgil, Cisl e Uil hanno scritto al premier Giuseppe Conte. Per la triplice, l’autonomia chiesta dal Veneto in ambito scolastico minerebbe, si perdoni il gioco di parole, un’altra autonomia, quella intellettuale della scuola. E minaccerebbe l’unità culturale del Paese.
In ballo, filtra dalla Regione, ci sarebbero soprattutto due punti: l’assunzione e la gestione diretta dei docenti e la possibilità di definire almeno parte dei programmi scolastici. Due questioni non certo di poco conto. Nel primo caso l’ipotesi più accreditata è che si parta con un doppio binario: i docenti già assunti termineranno la loro carriera come dipendenti statali, i nuovi assunti, man mano, entrerebbero nel sistema regionale. I sindacati sono critici perché l’eventualità di un contratto regionale, possibilmente al rialzo come in Trentino-Alto Adige creerebbe delle disparità. Non secondario, poi il tema delle risorse, si parla di 3 miliardi di stipendi della scuola che, adeguati al Trentino diventerebbero 4,5. E poi i programmi, quelli da salvaguardare nella loro forma nazionale secondo Cgil, Cisl e Uil, quelli da piegare alle esigenze regionali secondo Palazzo Balbi. Per tutti parla l’assessore regionale al Lavoro e alla Formazione, Elena Donazzan. «Dall’autonomia mi aspetto molto proprio per ridurre le distanze fra il mondo del lavoro e il mondo della scuola, un punto su cui i sindacati (del mondo legato alle imprese ndr) sono allineati. Oggi ho una programmazione limitata perché il contingente di docenti e le competenze me li dà il Miur, domani, invece, curverò le scuole verso le esigenze del territorio: l’orientamento verso l’Its sarà molto più forte, potremo incentivare l’insegnamento di alcune lingue straniere piuttosto che di altre, aumentare le ore di laboratorio e far crescere l’alternanza scuola-lavoro».