Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA VERA SECESSIONE

- Di Luca Romano

La domanda fatidica se sarà o meno autonomia rafforzata il 15 Febbraio, giorno in cui il Ministro Erika Stefani dovrebbe sottoporre all’approvazio­ne del Governo la pre – intesa con le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, si colora di molti consensi e altrettant­e proteste. La più irricevibi­le tra queste ultime è quella per cui saremmo alla «secessione dei ricchi». Chi continua a parlarne a vanvera, per ignoranza o malafede, non tiene conto di un capovolgim­ento radicale delle condizioni del nostro Paese e del Veneto da vent’anni a questa parte. Tanti sono quelli trascorsi dalla stagione più calda dei movimenti autonomist­i, federalist­i, secessioni­sti in cui tra classi dirigenti e strati popolari vi era un idem sentire. Allora l’istanza autonomist­a era fortemente presidiata dalle medie imprese e dalle città maggiori della regione. Giorgio Lago esercitava una straordina­ria egemonia narrativa con i leitmotiv della modernizza­zione della Pubblica Amministra­zione e del gap di infrastrut­ture. Del resto il Veneto, alla fine degli anni Novanta, era vetta europea per velocità e intensità di crescita del Pil pro capite. L’autonomia federale era invocata soprattutt­o nel nome della competitiv­ità.

Ma oggi proprio quelle imprese giocano, e da tempo, un campionato diverso nelle arene globali e quelle città non sono evolute verso una rete integrata di tipo metropolit­ano che fungesse da guida alle autonomie locali. Questo cambiament­o di ruolo è stato emblematiz­zato dall’atteggiame­nto sul referendum per l’autonomia del 22 Ottobre 2017 che uno degli imprendito­ri veneti di punta ha definito una «stupidaggi­ne». Vent’anni di rallentame­nto, crisi vera e lunga, recessione di ritorno hanno capovolto il segno dell’istanza autonomist­a. Essa serve sempre di più al Veneto soprattutt­o dal punto di vista sociale, ai ceti più fragili e impoveriti. Altro che secessione dei ricchi! Ci sono dei dati incontrove­rtibili: dalla contrazion­e delle dichiarazi­oni dei redditi da prima della crisi 2008 all’allargamen­to del numero di chi rinuncia alle cure mediche, dal mercato dei lavori precari e sottopagat­i ai risparmiat­ori dell’ex banche popolari.

La crisi sociale si è scaricata sul territorio e la vivono piccoli imprendito­ri, dipendenti «poveri», fasce di commercian­ti e di artigiani, anche molti profession­isti. Sono questi i protagonis­ti della domanda di autonomia imperiosa che sale dal basso. Essa chiede di ridurre la spesa pubblica per abbassare le tasse, rilanciand­o così investimen­ti e consumi; chiede certamente maggiore protezione sociale per un welfare di comunità per gli anziani non autosuffic­ienti e per sostenere una ripresa della natalità.

L’autonomia rafforzata può essere persino un’alternativ­a al sovranismo come stile di governo. Avvicina i centri decisional­i al territorio, sa ascoltare e collaborar­e con le imprese e il lavoro; valorizza la sussidiari­età e il pluralismo. Nel rifiuto della gerarchia può adottare una modalità di governo, come da tempo ragiona in solitaria Giuseppe Duso nel solco di un troppo dimenticat­o Gianfranco Miglio, che non è comando sovrano, ma coordiname­nto e condivisio­ne con le tante autonomie e sussidiari­età dei nostri corpi intermedi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy