Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
REDDITO, IL BIANCO E IL NERO
Il numero delle domande presentate per ottenere il reddito di cittadinanza, poco più di 800.000 rappresentative di altrettanti nuclei familiari, si sta rivelando sensibilmente inferiore al numero dei potenziali beneficiari stimato dall’Istat in 1,3 milioni di famiglie, a sua volta inferiore al numero dei poveri assoluti calcolati in poco meno di 1,8 milioni di famiglie (oltre 5 milioni di persone). Se -come informa l’Inps- si rivelerà accoglibile il 75% delle domande, il reddito di cittadinanza «abolirà», per dirla alla Di Maio, solo un terzo della povertà italiana. Più di un esperto si è sbizzarrito nello spiegare la rilevanza dello scarto tra obiettivi e risultati, ma senza distinguere tra cause oggettive — volute o solo provocate dalla legge — e cause soggettive: le rinunce dei potenziali beneficiari. Sono oggettive soprattutto le cause della differenza tra poveri assoluti e beneficiari potenziali. La prima causa sta nella contraddizione, che affligge alla radice la stessa norma di legge, tra l’obiettivo di lotta alla povertà e quello alla disoccupazione (non tutti i poveri cercano lavoro e non tutti i disoccupati sono poveri assoluti). La seconda sta nei «paletti» della norma: come quelli che sfavorisco le famiglie numerose o i limiti di reddito uguali per tutta Italia, che penalizzano i poveri del Centro-nord rispetto a quelli del Mezzogiorno. La differenza tra beneficiari potenziali e domande effettive ha carattere invece molto più soggettivo..
Si può decidere di rinunciare al sussidio statale per un apprezzabile moto di orgoglio o, più probabilmente, per la coscienza, o il timore, di non saper seguire il previsto percorso di inserimento attivo al lavoro; ma anche per la convenienza a non rinunciare a fonti di reddito alternative: dichiarate, come le variegate forme regionali di sostegno al reddito, o non dichiarate: il lavoro nero su tutte. La scarsezza delle domande ci sta dicendo che verosimilmente il «lavoro nero di cittadinanza» è un ammortizzatore sociale più potente del
reddito di cittadinanza. Cinicamente apprezzabile in quanto tale, se non fosse anche fonte di oltre 42 miliardi di euro all’anno di tasse sottratte al fisco secondo la stima della CGIA di Mestre: poco meno del 40% della evasione annua fiscale e contributiva che affligge il nostro Paese (secondo la stima prudenziale del Centro Studi Unimpresa). Evasione fiscale da lavoro nero che si aggiunge a quella prodotta da meccanismi sofisticati, corruttivi e non, messi a punto da professionisti senza scrupoli per far raggiungere i paradisi fiscali ai percettori di profitti e rendite. Le pentole scoperchiate nei giorni scorsi dall’indagine della Guardia di Finanza sui capitali trasferiti all’estero da imprenditori del mitico Nordest ne sono una prova umiliante. Eppure la lotta all’evasione non è una priorità del governo del cambiamento. E passi per la Lega che affonda le radici storiche del suo consenso nel mondo di piccole imprese ed artigiani in qualche caso davvero evasori per necessità. Ma la lotta all’evasione appartiene —come quella alla riduzione del debito pubblico, come la preferenza alla spesa pubblica per investimenti su quella corrente, come la preoccupazione per lo scarso aumento della produttività, etc.— ad una filosofia del benessere da riconquistare con la crescita della produzione, del lavoro e del reddito che poco ha a che fare con la filosofia del benessere da “distribuzione” praticato dal Governo del cambiamento. Al di là delle parole, spesso tra loro contraddittorie di pentastellati e leghisti, le politiche economiche «praticate» dal governo legastellato restano inquietantemente compatibili con la «decrescita felice» sempre cara ai grillini — in questo senso si può leggere anche la proposta del presidente dell’Inps Tridico di una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro—,e con la crisi finanziaria acuta, anticamera di una folle uscita dall’euro alla ricerca di una inflazione bruciadebito, sconsideratamente cara ad alcuni pasdaran leghisti. Scenari ed azzardi che l’Italia non merita.