Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Una coltellata al petto Uccide la moglie malata dopo 50 anni insieme
Il delitto a Castello: la donna era malata. Lui è stato trovato imbottito di farmaci ma vivo
VENEZIA Una coltellata, dopo aver trascorso mezzo secolo fianco a fianco. Licia Zambon, 82 anni e Renato Berta, 85, vivevano nel sestiere di Castello, a Venezia. Ieri, Renato ha ucciso Licia piantandole un coltello nel petto. Poi ha scritto poche parole su un foglio bianco e infine si è imbottito di pillole finendo poi in gravi condizioni nel reparto di Rianimazione.
VENEZIA È arrivata intorno alle dieci, come tutte le mattine, ma ieri nessuno ha risposto al citofono. Un condomino l’ha riconosciuta mentre passeggiava avanti e indietro vicino al cancello e le ha aperto: era la badante che assisteva una coppia di anziani che abita nella palazzina. Stava provando a telefonare, ma squillava a vuoto. Quando la donna ha raggiunto la porta dell’appartamento, ci ha trovato affisso un cartello con la scritta: «Non aprire. Chiamate la polizia».
Lei ha composto il 113 e gli agenti, qualche minuto dopo, quando sono entrati in casa hanno trovato steso a letto il corpo senza vita di Licia Zambon, 82 anni. Vicino a lei, svenuto, il marito Renato Berta, 85enne che dopo averla accoltellata al petto ha tentato il suicidio assumendo psicofarmaci.
L’uomo è all’ospedale in stato di fermo e quando si riprenderà sarà interrogato dagli investigatori della squadra mobile, che ieri hanno passato quasi l’intera giornata nella casa in cui si è consumato il delitto. Un appartamento a Venezia che fa parte di un complesso di abitazioni circondato da un grande giardino nel sestiere di Castello e la cui porta d’ingresso si affaccia sull’Arsenale, dal quale la separa un piccolo canale. La coppia di anziani ci abitava da cinquant’anni, da quando era stato costruito l’edificio. Lì sono cresciuti i tre figli Chiara, Nicola
Il cartello
Sulla porta di casa un cartello: «Non aprire, chiamate la polizia». La badante ha aperto e ha scoperto la tragedia della disperazione
ed Elisabetta che adesso vivono tra Marghera e Mestre e che ieri, appena hanno saputo cos’era accaduto, sono andati dal papà in ospedale per sapere come stava e poi in questura per parlare con la polizia.
Sono sempre stati una famiglia tranquilla, a detta di chi li conosceva, anche se ultimamente qualche vicino li ha sentiti spesso gridare. Licia Zambon aveva seri problemi di salute e il compagno si è sempre preso cura di lei. Nell’ultimo anno la patologia della moglie era peggiorata e le cose non andavano bene. Stavano vivendo una situazione difficile, aspetto che la stessa badante avrebbe confermato agli investigatori.
Renato Berta di giorno poteva contare sull’aiuto dell’assistente, che gli dava una mano ad occuparsi della moglie che, di recente, sembra che si fosse anche rotta il femore e che per questo era immobilizzata a letto. Ma di notte lui e la compagna di una vita rimanevano soli e tutto diventava più complicato.
Sebbene il delitto sia stato scoperto ieri mattina, gli agenti della squadra mobile ritengono che l’omicidio sia avvenuto intorno a mezzanotte o, comunque, in tarda serata. Il medico legale, infatti, nel corso del primo esame esterno della salma ha ipotizzato che il decesso possa risalire ad almeno dieci ore prima rispetto al ritrovamento. Sul corpo era visibile una profonda coltellata al petto ma per stabilire se i colpi inferti siano stati di più il pm di turno Paola Tonini ha disposto l’autopsia, che sarà eseguita nei prossimi giorni.
Renato Berta, dopo aver ucciso la compagna ha scritto a penna su un foglio bianco poche parole, rivolte alla badante che sapeva che sarebbe arrivata il mattino successivo, e l’ha appeso sul portone di casa. Poi ha ingerito parecchie pillole di psicofarmaci, ma non sufficienti a togliersi la vita. Quando la polizia è arrivata, infatti, era ancora vivo e adesso è ricoverato al Civile. Inizialmente le sue condizioni sembravano critiche ma poi si è ripreso e potrebbe raccontare lui stesso la verità di fronte al gip in sede di udienza di convalida.
L’ipotesi degli investigatori è che l’uomo non abbia agito al culmine di una lite, bensì che il delitto sia il tragico epilogo di una sofferenza che stava vivendo da tanto tempo e che non riusciva più ad affrontare.