Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Tre figli, il cane, le passeggiat­e «Ma lui era davvero esausto»

I vicini: «Quelle grida che arrivavano dalla casa»

- Andrea Priante

"La moglie era come “assente” e Renato doveva prendersi cura di lei

VENEZIA Una coltellata, dopo aver trascorso mezzo secolo fianco a fianco.

Licia Zambon e Renato Berta vivevano in quell’appartamen­to del condominio che si affaccia sulle mura dell’Arsenale, nel sestiere di Castello, a Venezia. Zona popolare, di panni stesi alle finestre e di calli strette. Un discount, un’edicola, qualche bar per i turisti che si spingono oltre le solite mete di piazza San Marco e Ponte di Rialto.

Lì, nella loro camera da letto, Renato ha ucciso Licia piantandol­e un coltello nel petto. Poi ha scritto poche parole su un foglio bianco («Non aprite, chiamate la polizia»), l’ha appeso alla porta, e infine si è imbottito di pillole, probabilme­nte nel tentativo di togliersi la vita.

Ottantadue anni lei, casalinga; ottantacin­que lui, buona parte dei quali trascorsi al lavorare per il Comune di Venezia. Tre figli che in quella palazzina con il giardino ci sono cresciuti - Chiara, Nicola ed Elisabetta, oggi vivono tra Mestre e Marghera - un cane che Renato portava a passeggio tutte le mattine a Sant’Elena, quando passava in edicola a prendere il giornale. E un nemico, che nell’ultimo anno aveva finito con il trasformar­e profondame­nte Licia.

«Era malata, quasi mai lucida. Come “assente”. Ma lui si prendeva costanteme­nte cura di sua moglie», racconta un vicino di casa. «Lo conosco da quarant’anni - spiega - perché anch’io lavoravo per il Comune. Un brav’uomo, non avrei mai pensato potesse farle del male. Ma negli ultimi mesi, la malattia di Licia stava piegando pure lui...».

La coppia abitava in quella palazzina fin da quando era stata costruita, cinquant’anni fa. I vicini non hanno molta voglia di parlare e se lo fanno chiedono di restare anonimi, come avessero pudore di raccontare in che modo la disperazio­ne che si respira in una famiglia possa finire con il prendere il sopravvent­o. «Sono sempre stati una coppia tranquilla - raccontano - ma negli ultimi tempi le cose erano cambiate, a causa di quella maledetta malattia. Si sentivano spesso delle grida arrivare dal loro appartamen­to, probabilme­nte litigavano. A lui, poveretto, forse mancavano le forze per prendersi cura di Licia. Si rendeva conto che non ce la faceva più...».

Nell’ultimo anno la patologia della moglie era peggiorata e le cose andavano sempre peggio. Di recente pare si fosse rotta il femore e per questo l’anziana era immobilizz­ata a letto. Quella di assumere una badante era quindi stata una scelta inevitabil­e. Era per lei, il biglietto che Renato aveva affisso alla porta: voleva risparmiar­le la vista di ciò che aveva appena fatto. E l’aiuto di quella donna probabilme­nte era diventato fondamenta­le per affrontare le incombenze quotidiane. Ma di notte, quando restavano soli, ecco che tutto ricadeva sulle spalle del pensionato.

«Renato l’ho visto l’altra mattina, qui fuori», ricorda un amico. «Abbiamo parlato per alcuni minuti ma era strano, come se fosse poco presente a se stesso. Mi ha dato l’impression­e di essere davvero esausto».

Negli ultimi mesi, la malattia di Licia stava piegando anche lui

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