Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Fan in delirio per Baggio «Col calcio ho dato gioia»

Il campione veneto: «I Mondiali in Usa? Non avevo mai calciato alto un rigore»

- Fabiano

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La fede È stato il buddismo a farmi capire come tutto dipendesse da me e non dagli altri»

TRENTO Ce l’hai o non ce l’hai, il fiore del talento. Roberto Baggio con quel fiore ci è sempliceme­nte nato. Quando si dice, un predestina­to. Un artista fine, elegante, mai sfarzoso e narcisista allo specchio, ma sempre in sublime e leggero tocco di pennello. Il calcio come essenza della bellezza. Tra tutti, Roberto Baggio è stato il più vero degli artisti; con i suoi acuti, ma anche con le sue paure e i suoi dubbi. Eroe romantico, un sole di mezzanotte, fenomeno naturale diametralm­ente opposto agli abbagli artificial­i del grande circo, Baggio è stato sì un fuoriclass­e, ma soprattutt­o un uomo: «È stato il buddismo a farmi capire come tutto dipendesse da me e non dagli altri», svela. La sua umanità lo ha reso uno dei campioni che gli italiani, e non solo loro, abbiano più amato. Sul palco del Teatro Sociale al Festival dello Sport di Trento, il «Divin codino» si è raccontato a 360°, cosa rara per uno che rilascia interviste col contagocce, rispondend­o con sincerità alle domande del direttore della Gazzetta dello Sport Andrea Monti.

Una fiumana in coda fuori, il teatro strapieno, e un’ovazione ad accoglierl­o in un’onda di affetto, come quando in una torrida estate americana di venticinqu­e anni fa trascinò l’Italia a tanto così dal sogno; fallì dal dischetto, lui solitament­e infallibil­e dagli undici metri, in un incrocio pericoloso col destino: «Ci penso ancora prima di coricarmi la notte. Non avevo mai calciato prima un rigore alto. L’unico della vita proprio a Pasadena. E pensare che vincere una finale Italia e Brasile era il mio sogno da bambino» si confessa sul palco del Teatro Sociale. Si commuove Baggio, si apre, lui solitament­e schivo e riservato: «Sono un umile di natura; l’umiltà ti aiuta a superare la difficoltà della vita. Io ho cercato di dare gioia alla gente col calcio». Il dialogo decolla sulle fasi della sua carriera: «Il Vicenza era un sogno, la squadra che seguivo da bambino con mio padre; a Firenze fui bloccato dall’infortunio al ginocchio, poi le cose andarono bene. La gente mi voleva un gran bene. Io mi sentivo in debito». Poi il turbolento trasferime­nto alla Juve: «Non volevo andar via, ma avevano già fatto tutto. Serviva chiarezza. Bastava me lo dicessero. La verità è venuta fuori dopo vent’anni. Io sapevo di essere stato corretto». Gli anni con le maglie di Juve e Milan: «Alla Juve subivamo la grandezza del Milan, dove poi trovai un gruppo di grandi campioni». Quindi l’Inter, passando per Bologna: «Volevo giocare e al Milan avevo poco spazio. A Bologna fu meraviglio­so. All’Inter furono invece due anni complicati. Cambiammo quattro allenatori in un solo anno».

L’ultima avventura a Brescia: «Volevo una squadra vicino a casa. Ero senza contratto. Passai tre mesi ad allenarmi

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Quel rigore

Non avevo mai calciato un rigore alto. L’unico della vita proprio a Pasadena. Ci penso ancora...

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Il «Lane» Il Vicenza era per me un sogno, era la squadra che seguivo da bambino con mio padre

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Javier Zanetti Arrivai giovanissi­mo all’Inter, mi dettero la fascia di capitano. Roby con la sua semplicità mi fu di grande aiuto

da solo a Caldogno sperando arrivasse una chiamata dal Vicenza. Mi cercò Carlo Mazzone, una grande saggio, e mi chiese se fossi disposto ad andare a Brescia. Li nacque una favola».

Infine la nazionale: «La maglia azzurra è straordina­ria, io la sentivo in modo particolar­e. Da Pasadena, provavo un senso di rivincita. Trapattoni non mi portò al mondiale del 2002: eppure la convocazio­ne me la meritavo, anche senza giocare magari. Credo che il calcio me lo dovesse. Anche per questo oggi ne sono lontano».

Sul palco sale Javier Zanetti, suo compagno all’Inter: «Quando arrivai ero giovanissi­mo, mi dettero la fascia di capitano. Roby con la sua semplicità mi fu di grande aiuto. Si creò subito un legame tra di noi, sono stato fortunato a conoscere una persona come lui». Lo salutano Antonio Filippini, compagno e amico a Brescia, e Totò Randon, sua chioccia a Vicenza. Il resto lo fa l’abbraccio della gente.

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 ??  ?? Oggi e ieri Sopra, Roberto Baggio ieri pomeriggio al Festival dello Sport a Trento Qui a fianco in azione con la maglia dell’Italia
Oggi e ieri Sopra, Roberto Baggio ieri pomeriggio al Festival dello Sport a Trento Qui a fianco in azione con la maglia dell’Italia
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