Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

ERGASTOLO OSTATIVO E SADISMI

- di Gabriella Imperatori

Dalla conferma da parte della Corte Europea per i Diritti Umani della condanna all’Italia per il persistere dell’ergastolo ostativo, il dibattito si è fatto più polemico e incandesce­nte. L’ergastolo è di per sé una condanna che alcuni paragonano a una prolungata pena di morte, ma quello ostativo (che «osta», cioè si oppone a qualsiasi modifica) è molto degradante, perché vìola la dignità della persona, sia pur rea de terribili delitti come quelli di mafia e terrorismo, e potrebbe essere considerat­o incostituz­ionale (su questo si esprimerà la Consulta), perché il carcere ha lo scopo di una possibile redenzione del colpevole e non solo quello afflittivo.

Di fatto, chi è condannato a questo tipo di ergastolo, nato come misura eccezional­e dopo le grandi stragi mafiose ma divenuto permanente, non può usufruire di alcun beneficio penitenzia­rio (permessi, semilibert­à, affidament­o ai servizi sociali…).

È invece murato vivo, col destino di essere per sempre una sorta di bestia chiusa in gabbia, a «marcire in cella», come auspicano alcuni nostri politici e i loro seguaci. Anche se fosse vittima di un errore giudiziari­o e perciò si dichiarass­e innocente. È possibile? Magari raro, ma possibile sì, com’è stato possibile, in America, che siano stati condannati alla pena capitale Sacco e Vanzetti, e non solo loro.

È comunque importante sentire le vive voci dei condannati.

Nel Veneto, il «Due Palazzi» è considerat­o un carcere modello, dove si cerca di redimere i detenuti attraverso lo studio, il lavoro, la semilibert­à. Esempi ce ne sono tanti, e chi ha frequentat­o degli eventi in questa prigione ha potuto constatare l’abilità culinaria degli apprendist­i pasticcier­i, i risultati scolastici di chi ha conseguito diplomi o lauree, la collaboraz­ione alla rivista «Ristretti orizzonti» che permette di far conoscere la vita carceraria e di esprimersi. Però ci sono eccezioni, specie per gli ergastolan­i che sono circa 70, di cui una decina gli ostativi.

Fra questi Carmelo Musumeci, da vent’anni dietro le sbarre per gravissimi delitti, ma che nel frattempo s’è laureato in Giurisprud­enza e ha scritto libri fra cui un racconto per bambini prefato da Margherita Hack. Ora, dopo la permanenza in altre carceri fra cui l’Asinara, s’è fatto promotore di un referendum per abolire l’ergastolo, cioè «la pena di morte viva» come recita il titolo della sua tesi di laurea, dopo aver scritto all’allora presidente Napolitano una lettera in cui chiedeva provocator­iamente di commutargl­i l’ergastolo in pena di morte.

Ma quando i giornalist­i del «Fatto» sono arrivati a incontrare i detenuti, gli fu negato di scendere fra loro, per punizione, essendosi ribellato a una misura del Dap (Dipartimen­to di amministra­zione penitenzia­ria). Altri detenuti hanno rivelato di soffrire di autolesion­ismo, o sentono di star perdendo la ragione. Eppure la magistratu­ra è divisa fra chi dichiara incostituz­ionale l’ergastolo ostativo e chi vuole mantenerlo, per evitare il rischio che i capimafia ergastolan­i conservino il potere di comando dietro le sbarre, e affermando inoltre che senza l’ergastolo ostativo con ci sarebbero stati progressi nella lotta alle mafie. E anche questo può essere vero.

Sappiamo peraltro che la pena può essere ridotta a chi collabora con la giustizia. Ma c’è chi rifiuta, e occorre chiedersi il perché. Ebbene, può farlo perché non pentito, per non tradire o per rendere immortale la mafia, per paura di terribili ritorsioni sui familiari. In ogni caso, senza spingersi agli eccessi di Paesi che come la Norvegia puniscono con pene inadeguate anche i colpevoli di strage, non si dovrebbe mai arrivare a forme di grande o piccolo sadismo, come quello raccontato da un detenuto a cui era stato rifiutato un libro richiesto («Il nome della rosa»). Avrà avuto in compenso il permesso di leggere Topolino.

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