Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«IntegrART» Profughi a scuola di disegno e teatro
I profughi disegnano Leonardo, visitano musei, recitano a teatro C’è un’associazione che capovolge piani e tappe d’inserimento
In piedi davanti a una scultura del Canova. O sgonfi e pensierosi sulla sedia di una libreria mentre sfogliano una copia della Divina Commedia. Magari sul palcoscenico vestiti da mercanti mentre recitano un personaggio da commedia. Non sono i posti dove ti aspetteresti di trovare questi viandanti del terzo millennio che etichettiamo come profughi, ma sono i posti dove li portano Jelena Zivkovic e la sua IntegrART. Lo dice il nome: il piano è di integrarli con l’arte. Sono in cinque a spingere questa associazione di promozione sociale e l’idea l’hanno portata avanti negli anni lavorando principalmente per scuole, musei e biblioteche.
L’associazione (Integrart.treviso@gmail.com) si appoggia sull’esperienza della fondatrice che nella Marca ha organizzato numerosi eventi culturali. A chi pensa che sia faccenda per creativi e sognatori, che cominciare da qui sia un po’ come fare lezioni di galateo a un corso di sopravvivenza, Jelena risponde cercando di farci immaginare un nigeriano che al bar parla di Dante. Ci mostra i disegni di Modigliani realizzati dai migranti, gli studi su mani di Leonardo. Li racconta mentre si impegnano a costruire una scenografia e si confrontano con una scala di valori lontana dalla quotidianità della strada.
Il punto di partenza è chissenefrega se hanno attraversato il deserto, sono fuggiti dalle guerre, sono stati venduti da trafficanti di essere umani o sono ragazzi in cerca di avventure. Non chissenefrega da un punto di vista umano, sia chiaro, ma dal punto di vista del progetto: «Il pietismo deve restarne fuori, ormai sono qui e come ci sono arrivati è questione che appartiene al passato. Noi pensiamo al futuro - spiega Jelena, di origine serba e residente a Treviso da trent’anni - il nostro approccio vuole essere paritario perché da queste persone possiamo imparare l’arte dei loro Paesi d’origine. Contaminazione è la parola chiave: talvolta finisce che tiriamo fuori dalla loro esperienza e facciamo nostre storie di piccoli e grandi artisti che hanno segnato un momento della loro vita».
Insiema a Jelena lavorano altre quattro persone: Abubacarr Gibba, gambiano, già cantastorie alla Biblioteca Brat di Treviso in un’iniziativa che prevedeva lo scambio di fiabe di Paesi tra loro lontanissimi; Salif Camara, guineano, professore del corso gratuito di francese rivolto agli italiani; Marco Zabai, presidente di Binario 1 e attivista per rigenerazione urbana; Tomàs Ornaghi, per metà spagnolo e per metà italiano, artista concettuale, attualmente in Olanda dove sta conseguendo la seconda laurea presso la Gerrit Rietveld di Amsterdam dopo quella in scultura a Bologna.
Le attività si stanno moltiplicando, sono previsti a breve laboratori di fotografia e di pittura, conversazioni in francese con i rifugiati sui temi di attualità (partono sabato 26 ottobre) ma anche visite ai musei per spingerli ad «adottare un’opera d’arte». La scelgono, la fanno loro e la raccontano. Il giorno dopo prendono in mano la tavolozza dei colori per aprire una finestra sul Rinascimento italiano e, chissà, scambiarlo con soggetti cari alla pittura centrafricana.
Certo è un approccio rivoluzionario all’integrazione, una sfida. Anche considerando il contesto politico culturale in cui lavora l’associazione. Tutto ci porta inevitabilmente alla domanda delle domande: funziona? Probabilmente c’è una risposta per ogni soggetto che ha partecipato a questi corsi e probabilmente è ogni volta una risposta diversa.