Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Regionali, l’alleanza con il Pd divide il M5S Che potrebbe ritirarsi
Le tensioni con i dem, la forza di Zaia: c’è il precedente della Sardegna
VENEZIA «Non si può governare insieme avendo come unico motivo quello di essere contro Salvini. Non possiamo rimanere fermi nella contemplazione di ciò che ci divide o peggio esaltare queste differenze in litigi continui. Non si tratta di accordi di palazzo ma di aprire un’offensiva ideale. Bisogna prendere atto che queste due forze insieme rappresentano il 40% dell’elettorato italiano. Un possibile campo alternativo al centrodestra». Così parlò il segretario del Pd Nicola Zingaretti, ieri, alla direzione nazionale del partito, tracciando la via di un’alleanza in pianta stabile tra i dem e Cinque Stelle.
Un’alleanza che andrà quindi declinata pure sui territori, in vista delle Regionali, come ha spiegato chiaramente in un’intervista a questo giornale, sempre ieri, il coordinatore della segreteria di Zingaretti e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - Andrea Martella: «La costruzione del governo attuale è la riprova che si possono superare gli steccati e che non ci si deve arrendere all’idea di una irreversibilità dei vecchi conflitti. Si deve tentare fino in fondo la strada per un dialogo costruttivo, anche in Veneto».
Fin qui, il Pd. Ma il Movimento Cinque Stelle che ne pensa? Tutti, a Roma, sono in attesa di capire che accadrà il 27 ottobre, quando si voterà in Umbria. Un risultato positivo della riedizione in chiave locale dell’alleanza giallorossa giocoforza spingerebbe per la replica pure nelle altre Regioni; viceversa il rischio è quello che il progetto di dar vita al «campo progressista allargato» finisca soffocato nella culla. Alcune riunioni, quanto al Veneto, sono state fatte nella capitale, «non operative» (come invece è accaduto per Emilia Romagna e Calabria) ma comunque utili per iniziare a capire la direzione che prenderà il Movimento. L’idea di Di Maio è quella di lasciare campo libero ai gruppi regionali (intesi come somma di parlamentari, consiglieri regionali e attivisti), un po’ per evitare di alimentare screzi in una fase già difficile per il partito ed un po’ per evitare di metterci troppo la faccia in una fase già difficile per il diretto interessato.
Sul territorio qualcosa si muove e non soltanto nelle chat: sono stati fatti degli incontri, delle «pizze allargate», per cominciare a capire l’umore della base (alcuni caffè sono stati bevuti a margine di «Italia a 5 stelle» in quel di Napoli) e ne sono uscite due linee divergenti, difficilmente conciliabili. La prima fa capo a quello che fin qui è stato il punto di riferimento del M5s in Veneto, l’ex capogruppo in Regione Jacopo Berti, e si basa sul rispetto dell’ortodossia pentastellata delle origini: niente alleanza col Pd come si disse no a quella con la Lega, avanti eventualmente solo con le liste civiche. La seconda ha invece il suo alfiere nel nuovo uomo forte del M5s a queste latitudini, il ministro per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà, sostenitore dell’alleanza col Pd a livello nazionale come sui territori con un fervore che ha sorpreso molti dei suoi compagni di strada. La sfida è tra due idee di Movimento, due esponenti di spicco del Veneto ma anche due leader nazionali, visto che Berti è da sempre vicino a Di Maio mentre D’Incà è diventato uno dei più solidi riferimenti di Roberto Fico al Nord (la sua nomina a ministro è avvenuta proprio «in quota Fico»; il presidente della Camera, ex iscritto a Rifondazione, si fida molto delle valutazioni del ministro bellunese in tema Nord produttivo-imprese). Chi la spunterà?
Alcuni attivisti della prima ora e «portavoce» sono convinti che alla fine la questione verrà risolta su Rousseau, col più classico dei voti degli iscritti. Un modo per evitare
Il ruolo di D’Incà Punto di riferimento di Roberto Fico al Nord è il nuovo uomo forte del M5S in Veneto
La mano tesa dem Sia Zingaretti che Martella hanno indicato l’alleanza Pd-M5s come il futuro del campo progressista
spaccature plateali ma anche per blindare la scelta finale (va ricordato che il voto su Rousseau è nazionale e in Umbria, ad esempio, è stato «usato» proprio per superare le obiezioni del gruppo locale, contrario all’accordo col Pd).
Ma un altro scenario, stavolta clamoroso, si va delineando nell’orizzonte a Cinque Stelle: quello di non presentarsi proprio alle elezioni, saltando un giro. Un’ipotesi «senza fondamento» secondo alcuni colonnelli pentastellati «perché segnerebbe la fine del Movimento in Veneto una volta per tutte». Eppure è già successo: in Sardegna, nel 2014. Beppe Grillo non autorizzò l’utilizzo del simbolo a causa delle divisioni interne al gruppo sardo. E questo nonostante l’anno prima, alle Politiche, il M5S fosse stato il primo partito dell’isola col 30% dei voti. In Veneto alle Regionali del 2015 prese il 10%, alle ultime Europee non ha superato il 9% e le chance di vittoria contro Zaia, anche in alleanza con il Pd, sono al lumicino. «Tanto vale non correre, evitando una figuraccia» è l’idea che si fa strada a Roma. O, al più, mettere in piedi una civica e sostenere un indipendente, «in una sfida corsara». Chissà che ne pensa il Pd.