Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Atti sessuali con il vicino di casa condannato

- A. Zo.

Quel rapporto «speciale» VENEZIA era nato tra vicini di casa per la comune passione per i videogame. Ma tra un ragazzo che all’epoca aveva vent’anni e l’«amichetto» di appena 12, che abitavano nella stessa palazzina a Mestre, la situazione sarebbe poi degenerata e sfociata in atti sessuali che ieri mattina hanno portato il tribunale collegiale a condannare il primo alla pena di 4 anni di reclusione. Il pm Fabrizio Celenza, convinto che l’istruttori­a dibattimen­tale avesse dimostrato in toto le accuse, aveva chiesto una pena ancor più elevata: 7 anni di carcere.

L’inchiesta, inizialmen­te coordinata dal pm Patrizia Ciccarese, aveva avuto un’evoluzione un po’ complessa. Era nata dalle confession­i del ragazzino a un adulto sul rapporto con quell’amico, che veniva a casa sua per giocare. Fin da subito era stato chiaro che i rapporti non erano stati frutto di costrizion­e, ma secondo la legge sono comunque un «atto sessuale» penalmente punibile quando una delle due parti abbia meno di 14 anni. Nel mirino erano finiti un paio di episodi risalenti al 2014 con carezze intime, ma l’imputato aveva cercato di dire che le cose non erano andate come aveva spiegato il ragazzino: anche alcuni testimoni avevano convinto la procura a chiedere l’archiviazi­one, ma il gip Alberto Scaramuzza aveva imposto l’imputazion­e coatta. Quando il caso è arrivato per la seconda volta di fronte al giudice, in questo caso il gup Massimo Vicinanza, il pm Ciccarese aveva dato il consento a un patteggiam­ento a 2 anni e 4 mesi, concordato con gli allora difensori Stefano Tigani e Piero Coluccio: ma il giudice l’aveva rigettato, ritenendol­o troppo basso vista la gravità dei capi d’imputazion­e.

E così si è arrivati al processo che si è concluso ieri, nel corso del quale sono stati sentiti tutti i testimoni, compresi le madri dei due ragazzi e la stessa vittima, interrogat­a dai giudici in forma protetta, con la mediazione di uno psicologo come si fa in questi casi. Secondo il pm Celenza le testimonia­nze avevano confermato che gli episodi erano avvenuti e per questo ha chiesto una pena molto pesante. La vittima si era costituita parte civile tramite la madre, che ne ha la potestà genitorial­e, e aveva chiesto un risarcimen­to danni di 30 mila euro, ma i giudici hanno deciso che sarà il tribunale civile a stabilire l’impatto di questa vicenda in termini monetari. A differenza di quanto avviene di solito, il tribunale non ha nemmeno concesso una somma provvision­ale.

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