Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
AUTONOMIA, IL NUOVO TESORO
Ela ricerca dell’autonomia regionale differenziata ha portato il Veneto a scoprire la sua città metropolitana. La miccia delle «ulteriori forme e condizioni particolari» di autonomia, che secondo Costituzione possono essere attribuite al Veneto dallo Stato, continua ad appiccare fuochi diversi da quelli per i quali è stata accesa.
Non è ancora dato capire a quale risultato autonomistico perverrà l’iniziativa lanciata ormai due anni fa dai referendum voluti da Zaia in Veneto e Maroni in Lombardia. Affiancata dalla analoga richiesta, più ortodossa, elaborata dalla Emilia Romagna di Bonaccini, la spallata autonomista lombardo-veneta è oggi impegnata nel confronto con un approccio al problema che il ministro Boccia vorrebbe coinvolgesse tutte le regioni.
Come, lo dovremmo sapere dalla proposta di legge che il ministro ha promesso per fine anno. Nel frattempo però eterogenesi dei fini, in politica sempre in agguato— l’iniziativa lombardo-veneta-emiliano romagnola ha avuto il merito di rivitalizzare un dibattito, da troppo trascurato, sui rapporti Nord e Sud nel nostro Paese e sulla necessità di comporre efficienza e solidarietà nell’articolazione «federalista» del sistema politico amministrativo italiano, con particolare riguardo al ruolo delle Regioni (troppe?).
Un dibattito che dovrebbe almeno produrre il miracolo di far definire dallo stato i livelli essenziali di prestazione (Lep), da garantire ad ogni cittadino italiano in qualsiasi regione, e i fabbisogni standard ( Fb), da far rispettare ovunque, per proteggere le risorse di tutti da inefficienze conclamate e insopportabili.
Due concetti essenziali per uscire da sospetti reciproci sull’«equità» del riparto regionale delle risorse. Da qualche giorno però, per iniziativa dei sindaci metropolitani (Brugnaro a Venezia e Sala a Milano, su tutti) la miccia dell’autonomia è arrivata a riaccendere anche il dibattito sulle città metropolitane.
Nel Veneto, Brugnaro e Zaia hanno già detto la loro. Prese di posizione iniziali. Perché, forse, non ancora pienamente consapevoli del ruolo che un aggregato metropolitano degno di tale nome può (deve) svolgere per caratterizzare in positivo lo sviluppo sia del Veneto sia di Venezia. Un aggregato metropolitano che non ha i confini della città metropolitana di Venezia definiti dalla legge, perché coinvolge anche le aree urbane funzionali di Padova e Treviso, ma che al contempo è il solo capace di garantire quella «città creativa», alla Richard Florida, della quale ha bisogno il «grande Nordest», quello delimitato dal quadrilatero Milano-Bologna-Lubiana-Monaco di Baviera, per competere sulla scena mondiale.
Tra Padova, Venezia e Treviso, oggi opera una Civitas —come ha dimostrato una ricerca recentemente condotta dalla Fondazione di Venezia—, una comunità invisibile, che avrebbe bisogno di una Polis — di una istituzione politica ad essa dedicata — capace di guidarne la formazione e lo sviluppo per trasformarla nell’aggregato insediativo capace di garantire quella concentrazione e agglomerazione «di reti di imprese innovative, di lavoratori di talento, di imprenditori propensi al rischio, di istituzioni e di associazioni di sostegno che si raggruppano nelle aree metropolitane per co-produrvi risultati economici e progresso».
Insomma la tipologia di «città» che sta guidando la «rivoluzione metropolitana» che ha assicurato l’uscita dalla «grande recessione» degli Usa e di buona parte dell’Europa.
Una prospettiva senza alternative nel «grande Nordest», nella quale anche Venezia potrebbe trovare l’antidoto al suo lasciarsi andare alla monocoltura turistica.