Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Regionali, nasce il Partito dei Veneti
PADOVA La standing ovation per Flavio Contin, uno dei Serenissimi che assaltò il campanile di San Marco l’8 maggio del 1997, seduto tra il pubblico a metà sala. La benedizione di don Floriano Pellegrini, «il prete del popolo veneto» arrivato dalla Val Zoldana, che sospira: «Qualcuno me la farà pagare? Pazienza».Gli interventi in veneto o meglio, «in łengua vèneta» (che Davide Lovat fa però polemicamente precedere da introduzioni in inglese e francese prima di passare «al dialetto senese», ossia l’italiano). Il motto «Par tèra, par mar: San Marco!» gridato dai mille arrivati da ogni parte del Veneto. E poi i baci stampati sulla bandiera col leone, gli applausi commossi per «gli amici catalani in galera» i cui volti campeggiano su una parete, i vessilli scozzesi e fiamminghi.
Rischia d’essere la variabile impazzita delle prossime Regionali, questo Partito dei veneti nato ieri al Gran Teatro Geox di Padova, e di certo contribuirà a rendere meno monotona la corsa da strafavorito di Luca Zaia a Palazzo Balbi. Antonio Guadagnini, che della maggioranza Zaia fa parte oggi, e Giacomo Mirto, coordinatore di questa neonata formazione venetista, sono riusciti nell’impresa di mettere (quasi) tutti d’accordo e riunire sotto l'egida del «PdV» dieci tra partiti, movimenti e associazioni che fin qui hanno animato la variegata (e litigiosa) galassia autonomista-indipendentista. «Siamo come le tessere di un mosaico - dice Lovat - da sole luccichiamo ma insieme formiamo un capolavoro». «Abbiamo tolto la maglia del club per indossare quella della nazionale» ribadisce Daniele Visentin. Si vedrà con quali risultati: nel 2015 le liste indipendentiste, sparpagliate tra vari candidati, catalizzarono complessivamente il 6,3% (Forza Italia non andò oltre il 6%); ora l’obiettivo dichiarato è il 5% e tre consiglieri a Palazzo Ferro Fini, anche se Guadagnini guarda già al 2025: «Stiamo gettando il seme per arrivare al governo della Regione nel post Zaia».
Già, il governatore. Sul palco e in platea, dove gli argomenti che più scaldano i cuori sono «l’autonomia negata» e il «referendum tradito», nei suoi confronti si registra una certa indulgenza. «Non è il nemico chiosa Alessio Morosin - si è speso dietro ai suoi capi, incapace di mettere il suo popolo davanti a tutto. Lasciamolo alla sua sorte». Solo Lucio Chiavegato ad un certo punto sbotta: «Luca Zaia che cazzo ci fai a Roma? Cosa fa il nostro gonfalone a Roma accanto alle bandiere di CasaPound? Perché ci prostituisci con la Meloni? Fòra l’Italia dal Veneto!». Applaudono con convinzione soprattutto i tanti leghisti delusi in platea. Ci sono pure gli ex deputati Paola Goisis, Emanuela Munerato, Corrado Callegari, l’ex assessore provinciale di Venezia Pierangelo Del Zotto, l’ex consigliere regionale Santino Bozza. Al Geox non ci sono esponenti della nuova «Lega per Salvini premier», evidentemente, come non ce ne so del Pd, nonostante tra i fondatori del Partito dei Veneti vi sia pure Sanca Veneta, la formazione degli indipendentisti di sinistra. Ci sono, invece, Manuel Brusco e Jacopo Berti del Movimento Cinque Stelle e quest’ultimo, con sprezzo del pericolo, accetta pure di fare un saluto dal palco.
Renzo Fogliata, avvocato e cultore di storia veneta, è accolto come una star (potrebbe essere tra i frontman alle Regionali), così come Riccardo Szumski «el mariga de Santa Luthia de la Piave» con fascia marciana anziché tricolore. «No se pol far de manco», la celebre frase pronunciata da Sebastiano Venier a Lepanto, è lo slogan scelto per la discesa in campo; «l’autogoverno» l’obiettivo, con appello agli imprenditori a mettersi una mano sul cuore ed una sul portafogli. Il clima è euforico. Chissà che ne pensano i lighisti di ritorno dalla capitale.
"Mirto
La Lega è un partito nazionale non può difendere il Veneto