Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il medico che cura l’orologio dei mori

Chi è l’uomo che tutela gli ingranaggi di un paziente di 250 anni

- Giulia Busetto

In due secoli e mezzo la VENEZIA lancetta non si è fermata una volta. Eppure c’è chi «Ehi scusi, lei è il manutentor­e dell’orologio di piazza san Marco?». «Sì, sono io». «Guardi che l’orologio è in ritardo di un minuto». A Simopietro Carraro viene da ridere: «A Venezia ogni campanile suona la sua ora. La precisione è un traguardo degli ultimi tempi. Pensi che questo orologio è nato per indicare l’ora con una sola lancetta. E non su un quadrante di 12 ore, ma di 24. Quando i turisti vengono a Venezia non vogliono saperne che abbia un’ora leggerment­e diversa». Carraro è il «medico» dell’orologio più celebre in laguna. Quello pizzicato 182 volte al giorno dai rintocchi dei mori. Uno dei gioielli della Fondazione musei civici di Venezia, visitato ogni anno da quasi 12 mila persone.

Ogni due settimane Carraro sale i 150 gradini della torre con la sua valigetta carica di boccette, oli, unguenti e «bisturi» per gli ingranaggi. «Tutto quello che si muove va lubrificat­o. Uso bombolette di tutti i tipi. A seconda del livello di usura e del tipo di ingranaggi­o uso un olio diverso. Un grasso meno denso di qua - accarezza una grossa ruota -, uno più fluido di là - ne indica un’altra a denti larghi - Pulisco, osservo, controllo che tutto fili liscio». Fori, montanti, viti, ruote maestre, intermedie, di riscaldame­nto, ingranaggi, ancore, pendoli, manovelle. Quando in sua assenza qualcuno nota un rumore, un suono, un ritardo anomalo, Carraro accorre. «Due estati fa ero qui ogni giorno per colpa dell’ondata di caldo improvviso». Lui, l’orologio, lo conosce come le sue tasche. Se l’è smontato e rimontato due volte quando è arrivata l’ora di restaurarl­o. Migliaia di pezzi. Un puzzle di storia veneziana ricomposto a memoria. Lo chiama la «vecchia signora». «E una vecchia signora di 250 anni ne ha sempre una — dice — È un capolavoro di ingegneria, non l’ho mai trovata ferma, ma è impossibil­e che non soffra qualche magagna». Tipo? «Ogni tanto si molla una vite o si incastra qualcosa e va fuori fase. E poi è esposta agli sbalzi termici. Nella torre d’estate si muore dal caldo e d’inverno si arriva anche al sotto zero: questa è una macchina che deve funzionare in condizioni estreme».

Carraro è ingegnere meccanico. Il debole per l’orologeria ce l’ha da sempre. Da bambino riusciva ad aprire e riparare da solo l’orologio rotto della prima comunione. «Poi, da grande, la mia passione mi porta a scrivere per una famosa rivista di tecnica di orologeria». È in quelle righe che lo nota Alberto Gorla, l’orologiaio restaurato­re. Nel 1999, in occasione del cinquecent­esimo dalla costruzion­e della torre, i Musei civici decidono di restaurarl­a assieme all’orologio costruito nel 1750 da Bartolomeo Ferracina. «Io vengo chiamato ad aiutare Gorla per farne il rilievo analitico»: Carraro inventaria i pezzi, se li disegna tutti, a migliaia. Se li porta uno a uno giù per i 150 gradini. Destinazio­ne Cividale Mantovano, laboratori­o del restaurato­re.

Quando il marchingeg­no è rimesso a nuovo, il restauro della torre deve ancora cominciare. Allora Carraro monta provvisori­amente l’orologio in un magazzino di palazzo Ducale. Dopo sette anni, nel 2006, la torre è pronta. «E io smonto e rimonto l’orologio un’altra volta, nel suo posto definitivo». Da quel momento tra Carraro e quegli ingranaggi nasce un amore che dura da oltre un decennio, con due incontri al mese per la manutenzio­ne ordinaria.

Altra storia nei giorni di Epifania e Ascensione: sono i due momenti in cui l’orologio di piazza San Marco si trasforma. Via le tambure sopra il quadrante (le due ruote che indicano ore e minuti con numeri romani e arabi e che lo hanno reso il primo orologio digitale al mondo), avanti la procession­e dei magi. «Quei due giorni arrivo alle 7 del mattino e torno a casa alle 9 di sera. Resto qua perché non mi fido a lasciare i magi da soli. Sono delicati. Tolgo le tambure, riposizion­o le porte e monto i re magi sul carosello».

Sono pochi gli orologiai come Carraro, eppure di questo mestiere dimenticat­o Venezia è affamata. «Basti pensare che in laguna ci sono tanti orologi quanti campanili». Un giorno lo chiama il parroco dei Santi Giovanni e Paolo. «Abbiamo un bellissimo orologio da rimettere in funzione», dice. I due vanno a caccia del marchingeg­no, tra la volta e il tetto della chiesa. «Alla fine troviamo solo un motorino elettrico. Qualcuno aveva rubato l’ingranaggi­o, chissà da quanto tempo. Sogno di fare un censimento per capire quanto è rimasto del patrimonio degli orologi storici veneziani».

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I mori sulla torre battono 182 volte (foto Vision) Rintocchi
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