Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Fanno e disfano come Penelope Che tristezza il fango di Boccia»
VENEZIA
«Stanno disfando l’autonomia come Penelope disfava la tela nell’Odissea. Fanno giochetti politici ma di mezzo c’è il voto di 2,3 milioni di veneti che hanno tutto il diritto di veder riconosciuta quella che era nata come una speranza, è diventata un’aspettativa e oggi è una pretesa. Non so se il governo M5S-Pd se ne renda conto».
Erika Stefani, senatrice vicentina della Lega, dal primo giugno 2018 al 5 settembre 2019 è stata ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Su di lei ha pesato una grande responsabilità, le aspettative erano enormi, la pressione, talvolta, insostenibile.
Stefani, è finita come è finita: dispiaciuta di non essere riuscita a realizzare la riforma?
«Mi rammarica vedere il mio successore, il ministro Boccia, infangarmi e distruggere quanto avevamo fatto. Butta via il lavoro degli altri solo perché lo hanno fatto gli altri».
Lui sostiene il contrario. «Continua a ripetere che in realtà io non avevo fatto nulla, non ero approdata a nulla... cento incontri con Regione e ministeri, la sintesi raggiunta su molte competenze, le bozze d’intesa portate al tavolo del Consiglio dei ministri: tutto questo è il nulla?».
Secondo lei il Movimento Cinque Stelle ora cambierà idea?
«Bella domanda. Fin qui hanno ostacolato l’autonomia in ogni modo. Ora vedo che litigano col Pd su tutto: sulla manovra non sono riusciti ad accordarsi sulla tassa sulle merendine o sulle rendite catastali, crediamo davvero che possano raggiungere l’intesa su una riforma epocale per gli assetti istituzionali dello Stato come l’autonomia? Io sono perplessa».
La Lega non ha proprio nulla da rimproverarsi?
«Assolutamente nulla. Io le ho provate davvero tutte: incontri con il premier Conte, con i singoli ministri, sul piano istituzionale, informale... sono arrivata diffidare ad alcuni ministeri». E il resto della Lega?
«Tutto il gruppo è sempre stato al mio fianco compatto».
Perché non ha funzionato? «L’autonomia è una riforma con oggettivi profili di difficoltà. Per portarla a termine bisogna crederci fino in fondo, confrontandosi con spirito costruttivo anche se magari si parte da posizioni opposte. E invece la dialettica si è presto trasformata in guerriglia politica, tutti i temi sono stati strumentalizzati».
Ora il ministro Boccia propone una «legge quadro». Secondo lei aiuterà a stemperare le tensioni col Sud?
«A me pare il gioco dei tre barattoli. Nella mia bozza d’intesa, nella parte generale, si potevano leggere le stesse cose che oggi, par di capire perché il testo non c’è, Boccia vorrebbe mettere nella sua legge quadro. L’intesa con il Veneto, la prima, sarebbe stata una sorta di “causa pilota”, avrebbe tracciato la strada per tutte le altre. Con una differenza: l’intesa è prevista dalla Costituzione; la legge quadro no».
E i Livelli essenziali delle prestazioni, i Lep, si faranno mai?
«Mi sembrano un tentativo maldestro di prendere tempo. La predeterminazione dei Lep era la condizione di partenza per il trasferimento delle competenze in tutte le materie, che ovviamente andavano individuate in modo puntuale. I Lep, la sussidiarietà, la perequazione sono tutti principi scontati, come se uno andasse a comprare un’automobile e pretendesse la garanzia che questa ha quattro ruote».
Era scontato anche il Piano per il Sud a cui pensa sempre Boccia?
«Gli investimenti al Sud vanno fatti a prescindere, non possono diventare un do ut des con l’autonomia del Veneto. Purché poi il Sud garantisca l’efficienza che meritano i suoi cittadini».