Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Riassunto il capo macchinista: «Non era ubiquo»
Gli avevano affidato troppi incarichi e dunque è stato ingiusto cacciarlo per la gestione caotica del magazzino. Per questo il giudice del lavoro Barbara Bortot ha accolto il ricorso del capo macchinista del teatro La Fenice, licenziato il 10 maggio scorso e ora reintegrato nel suo posto di lavoro, ovviamente con il pagamento degli stipendi di questi quasi sei mesi. Un provvedimento che arriva in un periodo di grandi tensioni tra direzione e lavoratori, culminato in uno sciopero legato proprio a un altro licenziamento, quello di due membri dell’orchestra. L’uomo da anni era il capo del «Reparto macchinisti», ma dal 2012 gli erano stati attribuiti anche altri compiti, tra cui il coordinamento delle attività del personale della falegnameria e del magazzino e la manutenzione ordinaria e straordinaria della macchina scenica, tanto che prendeva anche un bonus di stipendio.
La Fenice lo accusava di omesso controllo per dei mancati incassi negli anni dal 2012 al 2018. Secondo la tesi del teatro, le scenografie dismesse e disassemblate avrebbero dovuto essere da un lato smaltite per quello che riguardava legno e misto, dall’altro vendute per i materiali ferrosi: e invece nella contabilità risultavano ben 33 fatture per i ritiri dei primi materiali, ma solo 2 per il ferro, a fronte invece di 17 asporti ricostruiti. Ma l’audizione dei testi ha convinto il giudice della tesi difensiva, sostenuta dall’avvocato Marco Vorano, e cioè che il dipendente girava come una trottola tra le varie sedi. «Non essendo dotato del dono dell’ubiquità, in magazzino era poco presente - scrive il magistrato - La Fondazione non può esigere che Ballarini, che non era in loco costantemente, seguisse con puntualità le operazioni di dismissione». Il giudice ha invece rigettato l’ipotesi che il licenziamento fosse una ritorsione per alcune accuse sulla sicurezza del teatro. (a. zo.)