Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il premio Nobel «Vaia potrebbe capitare ancora»
Lega e Fdi, patto sovranista col rebus autonomia. Allarme in Fi
TREVISO Filippo Giorgi, unico italiano nel Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (vincitore del Nobel nel 2007) avverte: «Serve una svolta, o arriveranno altri eventi climatici violenti».
VENEZIA E dunque l’alleanza tra il Movimento Cinque Stelle e il Pd alle Regionali, appena nata, è già finita. Suona il requiem Luigi Di Maio: «L’Umbria era un esperimento e non ha funzionato. Da dieci anni c’era chi diceva che il Movimento, alleato a un’altra forza politica, avrebbe potuto rappresentare un’alternativa, ma così non è stato. Non è una soluzione praticabile». Il futuro? «Per le prossime Regionali dobbiamo azzerare le aspettative, tornare al nostro spirito originario».
Musica per le orecchie di Jacopo Berti, leader del M5S in Veneto che da sempre sostiene l’impraticabilità dell’alleanza con i dem sul territorio: «Il risultato umbro è un fallimento, chiaro e incontrovertibile. Io l’ho sempre detto che nelle Regioni non ci sono spazi per replicare l’accordo nazionale ma niente drammi, si può sbagliare. L’importante è non perseverare. Torniamo sui nostri passi e al bivio imbocchiamo l’altra strada. Torniamo al vecchio M5s, vicino ai comitati, alle associazioni, alla gente. Rimettiamoci a lavorare». E con lui si schiera tutto il gruppo in Regione: «Non è in campo alcuna ipotesi di alleanze con alcun partito, è invece da tempo avviato un dialogo con liste civiche». Il voto umbro finisce quindi per incidere anche sugli equilibri interni ai pentastellati, perché mentre si risolleva il morale dei sostenitori del «Movimento né di destra né di sinistra» (tendenza Di Maio), si fiacca quello di chi, come il ministro per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà (tendenza Fico), perorava l’alleanza col Pd ovunque, per puntellare il governo e cercare nuove vie progressiste da contrapporre al blocco sovranista. «L’obiettivo non cambia - dice D’Incà - l’obiettivo resta quello di coalizzare le menti migliori per governare il Veneto, senza preclusioni».
Il Pd che nonostante l’avvio della campagna di ascolto dei «30 giorni» appare sempre più reclinato su se stesso (gli equilibri in segreteria, le liti con Renzi, quelle con Calenda, i tatticismi, mentre Zaia, pur strafavorito, ha già iniziato a battere il territorio palmo a palmo, un’inaugurazione e una sagra dietro l’altra) non molla però la presa: «Nonostante la sconfitta in Umbria dobbiamo imporci di continuare a dialogare con tutte le forze che si vogliono e si possono contrapporre al blocco sovranista - insiste il segretario Alessandro Bisato - È difficile? Nessuno se lo nasconde. Ma se guardiamo ai programmi, i punti in comune col M5S restano molti. Proprio perché la sfida che ci attende contro Zaia si annuncia durissima, non sarà un 1% in più o in meno a cambiarci la vita. Voliamo alto». D’accordo Vanessa Camani, membro della segreteria di area zingarettiana (Bisato fu renziano): «Partiamo dai dati di fatto: sia noi che il M5S veniamo da cinque anni di opposizione a Zaia. Nell’80% dei casi abbiamo votato allo stesso modo in consiglio regionale. Solo se uniamo le forze possiamo scalzare i sovranisti». Ma tra i dem non tutti sono d’accordo. Anzi. Se ne fa portavoce il senatore Vincenzo D’Arienzo: «Che dolore sentirsi dire da Di Maio che l’alleanza si chiude qui, quando noi lo ripetiamo da settimane che non si doveva fare dal principio... l’ennesimo schiaffo. Zingaretti ha commesso un grave errore strategico: non si può riproporre sui territori uno schema che a Roma funziona solo e soltanto per il clima emergenziale provocato dallo strappo di Salvini e la caduta del Conte 1. In Veneto Pd e M5S restano incompatibili, pensiamo solo alla Tav».
Qualche riflessione si impone anche tra i vincitori, che non vincono tutti allo stesso modo e anzi, in qualche caso paradossalmente perdono. Detto che Zaia (che chiama in causa Mattarella chiedendo di andare subito al voto) e la Lega potrebbero probabilmente vincere in solitaria, è ormai chiaro che l’alleato di riferimento dei Salvini’s sono i Fratelli d’Italia, spalla ideale per una coalizione populista-sovranista (certo qui andrà risolta la contraddizione sull’autonomia, visto che Giorgia Meloni si schierò contro il referendum del 22 ottobre 2017 e si è sempre mostrata, da nazionalista coerente, a dir poco gelida sull’argomento). Forza Italia è più che altro tollerata, continua a perdere voti - anche in Umbria - e in Veneto rischia di finire massacrata da Zaia che, nonostante i sovracuti sui manganelli e le rivoluzioni, resta il campione del voto moderato veneto. Come ammette con franchezza il coordinatore degli azzurri, Davide Bendinelli: «Per noi c’è poco da stare allegri. In Umbria, nonostante Berlusconi, è andata male. Gli alleati ci soverchiano. Se non corriamo ai riparti, con una riflessione profonda ed un piano di rilancio, siamo destinati a sparire».
Jacopo Berti
In Umbria abbiamo assistito a un fallimento chiaro e incontrovertibile L’avevo detto
Ora perseverare sarebbe davvero diabolico
Alessandro Bisato
Contro Zaia la sfida sarà durissima, ci preoccupa un 1% in più o in meno? Voliamo alto, il dialogo tra forze antisovraniste è un dovere