Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
I rettori veneti: «Più incentivi per trattenerli»
«Più incentivi per trattenere i nostri giovani attratti dall’estero». Questo, in sintesi, il pensiero dei rettori delle Università venete chiamati a commentare i dati della Fondazione Migrantes. «Ma il tempo delle parole è finito: ora i fatti».
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Rizzuto
I nostri laureati sono molto appetibili all’estero perché sono preparati Per loro è un’occasione
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Bugliesi
Per colmare il gap con i Paesi esteri bisogna smettere di considerare un costo formazione e innovazione
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Ferlenga
Sono 140 gli ex studenti dello Iuav che hanno posizioni accademiche molto alte nel mondo
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Gubitta
Bisogna garantire degli incentivi alle aziende per pagare di più i nostri laureati
I veneti e la fuga verso
VENEZIA l’estero. Il tema è divisivo, i numeri inconfutabili. Li ha snocciolati la Fondazione Migrantes nel weekend scorso: 13.329 nel 2018 gli emigrati dalla nostra regione, in prevalenza giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. È soprattutto questo ultimo dato a preoccupare e a richiedere spiegazioni in grado di aiutare a «leggere» il problema oltre i numeri stessi.
«I nostri laureati - spiega Rosario Rizzuto, rettore dell’Università di Padova - sono appetibili all’estero perché sono molto preparati. Per loro si tratta di vere e proprie opportunità, con offerte di lavoro e salari che in Italia non possiamo permetterci. Ovvio però che a fronte di un investimento nella formazione il saldo per noi sia negativo e che l’emigrazione diventi un problema per il nostro Paese». Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza il rettore di Ca’ Foscari, Michele Bugliesi. «Non raccogliamo - dice - quanto seminiamo. Il problema è che non siamo competitivi, perché scontiamo sia deficit salariali sia deficit di prospettiva, intesa come possibilità di fare carriera. La capacità di trattenere sarebbe importante, ma per riuscirci servono azioni mirate». Un esempio, portato sia da Rizzuto che da Bugliesi, può essere quello della detassazione per professori e ricercatori con più di tre anni di residenza fiscale all’estero: sia Padova che Venezia hanno ottenuto riscontri importanti, sull’ordine complessivo di un centinaio di adesioni. Ma Paolo Gubitta, editorialista del
Corriere del Veneto ed economista d’impresa dell’Università di Padova, stronca con fermezza questa iniziativa. «È la classica politica del ‘900 - dice - che non va bene per il Terzo millennio. Ripara a un danno già fatto, ma senza prospettive. Serve piuttosto una cura da cavallo, destinata a tutti e non a pochi».
E in questo contesto i rettori sollecitano all’unisono «fatti e non parole», ribadendo la necessità che «Università, imprese e governanti decidano di mettere l’alta formazione al centro della crescita economica del Paese». In altre parole, «se non smettiamo di ritenere la formazione e l’innovazione un costo ma un vero e proprio investimento, non colmeremo mai il gap con i Paesi esteri e i giovani laureati non avranno mai la percezione di essere valorizzati come meriterebbero, afferma Bugliesi.
«Lo Iuav - spiega il rettore Alberto Ferlenga - è un ateneo particolare che sforna professionisti dell’architettura, della moda e del design. Proprio per questo io sono felice se nostri laureati vanno all’estero. Non ci vedo una fuga di cervelli, quanto piuttosto una continuità storica di quanto accaduto dal ‘400 in avanti, ovvero con il made in Italy a dettar legge nelle città d’Europa e non solo. Sono 140 gli ex studenti dello Iuav che hanno posizioni accademiche molto alte nel mondo. E il nostro ruolo accademico credo sia riconosciuto anche dal fatto che noi riusciamo ad attrarre allievi da altri continenti». Un’analisi, quella di Ferlenga, che apre a un’altra considerazione: quella che gli studenti di oggi si sentano più cittadini del mondo che italiani o veneti. «Sono i ragazzi della generazione Erasmus - dice Rizzuto - e credo che la loro identità sia essenzialmente europea. Ciò non toglie che l’ipotesi di rientrare in Italia, nonostante le esperienze all’estero, sia predominante per molti di loro». E se i dati di Fondazione Migrantes raccontano che le regioni con maggiore emigrazione di giovani sono Lombardia e Veneto significa che «le famiglie dice Ferlenga - hanno un ruolo fondamentale. Possono permetterselo perché specie inizialmente i giovani all’estero hanno necessità di spesa».
Il rovescio della medaglia, a questo punto, diventa la capacità attrattiva, magari con l’intento di attrarre anche gli studenti stranieri. «Per questo spiega Gubitta - la ricetta ci sarebbe: creare università autenticamente internazionali in sinergia con imprese che sono in grado di attrarre con mestieri sufficientemente complessi ed elaborati per far sì che anche un ragazzo svedese si possa fermare qui. La domanda è: ci sono queste aziende? In Veneto sono poche, ma in Lombardia ed Emilia Romagna ce ne sono parecchie. Ed è lì che si dovrà andare a parare. Oltre a questo - conclude Gubitta - servirebbero anche cose mirate, come i dottorati industriali e un potenziamento degli Its (Istituti tecnici superiori, ndr) al fine di garantire una maggiore integrazione tra mondo del sapere e mondo del lavoro. Infine, una cosa banale ma proprio per questo difficile da realizzare: garantire degli incentivi alle aziende per pagare di più i nostri laureati».