Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il Veneto rischia nuovi cicloni «Una svolta o sarà solo l’inizio»
Monito del climatologo Giorgi, membro del gruppo da Nobel: «Ecco le mie ricette»
MONASTIER (TREVISO) Pioggia e neve. Proprio nel giorno in cui il Veneto si ferma per ricordare il disastro scatenato, giusto un anno fa, dalla tempesta Vaia, il meteo gioca uno dei suoi scherzi facendoci (finalmente) piombare in pieno clima autunnale. Dopo il caldo anomalo di queste settimane, Arpav prevede un netto abbassamento delle temperature «con probabilità di piogge estese, discontinue e con quota neve in abbassamento fin quasi a duemila metri». Nulla di allarmante, assicura il meteorologo Marco Monai: «Non c’è alcun rischio che si verifichino tempeste o cicloni: si tratta di una perturbazione moderata. I veneti possono stare tranquilli: non ci sarà una nuova Vaia a un anno esatto dalla precedente».
Gli esperti, però, non nascondono la loro preoccupazione per il futuro. Il climatologo Filippo Giorgi - premio Nobel 2007 come componente (era l’unico scienziato italiano) dell’organo esecutivo del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici - venerdì era ospite del convegno promosso a Monastier dal Centro Studi Psicosociali «Calvani». Per tutto il giorno, scienziati, medici ed economisti si sono confrontati (di fronte a molti studenti) sugli effetti del cambiamento del clima.
«Vaia, con i suoi venti a oltre 200 chilometri orari, è stato un fenomeno unico. Almeno finora», spiega Giorgi. Finora?
«Al momento è ancora impossibile dire con certezza se quella tempesta sia stata il risultato del cambiamento climatico. Ciò che sappiamo, però, è che Vaia ha preso forza a causa della temperatura elevata del Mediterraneo, dovuta alle giornate particolarmente calde registrate nel 2018. Una delle conseguenze del surriscaldamento globale, è che ci sono ottime probabilità che in futuro, anche nelle nostre zone, si verifichino nuovi eventi climatici particolarmente violenti. Insomma, Vaia rischia di essere soltanto l’inizio».
Di chi è la colpa? «Nostra, naturalmente. Se non si facesse nulla per limitare le emissioni di gas serra, i modelli ci dicono che potremmo avere un riscaldamento globale fino a 4-5 gradi entro la fine di questo secolo. Significherebbe un completo sconvolgimento del sistema climatico: zone che adesso sono rigogliose potrebbero diventare desertiche».
Il processo è già in atto... «Quest’anno i ghiacci della Groenlandia si sono sciolti a un ritmo che non si era mai visto prima: se si dovesse continuare così, avremmo un innalzamento del livello del mare, con effetti inimmaginabili sulle nostre coste».
Detta così, lo scenario è apocalittico...
«La storia della Terra andrà avanti, in ogni caso: il pianeta si adatta. Quello che non può sopravvivere è la società come oggi la conosciamo».
Cosa si deve fare per invertire la rotta?
«Occorre procedere su due piani, che sono strettamente collegati. Il primo è personale: ciascuno di noi deve ridurre gli sprechi di energia, di acqua, di cibo... Il secondo è quello politico, che si lascia influenzare dal primo. Il principio vale sia per chi amministra aree fortemente inquinate come quella veneta, che per i potenti della Terra: buona parte dei politici deciderà di adottare misure globali per la salvaguardia della Natura soltanto se sentirà la pressione del proprio elettorato».
Movimenti ambientalisti come quello capitanato da Greta Thunberg vanno nella direzione giusta?
«Greta ha capito che c’è un grande problema che coinvolge soprattutto la sua generazione e quelle che verranno. E ha capito, inoltre, che bisogna attivarsi molto di più di quanto si sta facendo. Fridays for future è un movimento “propositivo”: non c’è antagonismo, da questi ragazzi arriva un forte senso di speranza e di coinvolgimento. È qualcosa che non ho mai visto prima, un movimento che mostra la mondo quanto i nostri giovani desiderino cambiare le cose in meglio. Ma ora tocca agli adulti stare ad ascoltarli».