Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA MORTE IN TRE SFIDE

- Di Vittorio Filippi

Aben pochi piacerebbe avere come sorella la morte, per usare l’immagine di san Francesco. Perché la morte da sempre significa assenza, mistero, decomposiz­ione. Eppure in questi ultimi decenni la morte è decisament­e arretrata, ha allentato la sua presa, perché la longevità crescente l’ha allontanat­a sempre più in là. Nel 1974 la speranza media di vita (cioè gli anni che un neonato avrebbe davanti a sé) era di 73 anni, oggi è arrivata ad 83. In Veneto il guadagno di vita è stato di dodici anni, quindi ancora più ampio. E non è detto che la corsa non possa proseguire, visto l’affollarsi dei centenari, avanguardi­a vivente di tale longevità. Ciò nonostante con la morte dovremo sempre più fare i conti nel prossimo futuro. Per tre motivi. Il primo, squisitame­nte demografic­o, è che verso il 2050-2060 avremo un picco della mortalità. Perché, malgrado la piacevole longevità, invecchier­anno e poi scomparira­nno le numerose generazion­i nate negli anni del cosiddetto baby boom. Il secondo motivo è dato dalla grande capacità della scienza medica di cronicizza­re le malattie: cronicizza­re significa, in un certo senso, porre il paziente in un critico limbo in cui il confine tra vita e morte si fa sfumato ed in cui la morte stessa diventa un processo (talvolta anche insopporta­bilmente lungo) e non più un momento.

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