Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Bollani: «Io e Chucho Valdés La nostra amicizia mistica»
Domani al Goldoni le due leggende del pianoforte. Il musicista italiano: «Ci unisce la musica del buon umore. Improvvisiamo con una libera associazione di idee»
l’evento del Venezia Jazz Festival Fall edition. Domani, sul palco del teatro Goldoni di Venezia, si troveranno ad improvvisare, uno di fronte all’altro, le leggende del piano jazz Stefano Bollani e Chucho Valdés (ore 21, info venetojazz.com).
Stefano Bollani, il progetto con Chucho Valdés ha preso vita dal suo programma televisivo «L’importante è avere un piano» o c’è stato un inizio differente?
«È nato lì. Avevo la grande occasione di poter invitare quei musicisti con cui non mi era ancora capitato di collaborare e così ho invitato Chucho. Ci conoscevamo di persona e ma non avevamo mai collaborato. Abbiamo capito subito che era molto facile suonare assieme: è stata una scintilla».
Il concerto si baserà totalmente sull’improvvisazione e l’interplay tra lei e il pianista cubano?
«Abbiamo delle tracce, dei brani che abbiamo deciso di fare ma che potrebbero cambiare ogni sera. Brani cubani, americani, italiani e nostri. Ma sono solo delle tracce perché se dovessi dare le proporzioni, il 96% del concerto è improvvisato visto che anche quelle tracce vengono trattate ogni sera in modo diverso».
In un concerto di pura improvvisazione da che cosa si inizia? La prima nota che dà il via al tutto si sa già quale sarà prima di iniziare?
«No. È una delle cose che mi piace di più di quando si incontra un altro musicista. Non si parla della prima nota. È quasi un tabù. Credo sia una questione di mistica. Stiamo per salire sul palco e improvvisare, entrando in contatto con la fonte misteriosissima dell’ispirazione e per questo è meglio non parlare di quello che sta per succedere».
Durante il live toccherete stili differenti?
«Né io né Chucho ragioniamo in termini di stile, suoniamo tutto quello che ci viene in mente. Entrambi abbiamo un background classico, ma an
che jazz, e amiamo la musica del mondo. Per forza di cose viene fuori un po’ di tutto». In che cosa, musicalmente, vi assomigliate?
«C’è buon umore comune nella nostra musica che non è così evidente nelle cose che fa Chucho. Entrambi amiamo citare dei brani all’improvviso: questo ragionare per libera associazione di idee è quello che ci unisce».
Nella performance i due pianoforti sono uno di fronte all’altro. È una cosa importante o sarebbe uguale se foste spalle contro spalle?
«Il contatto visivo è importante. Non sono amante dei musicisti che mi suonano alle spalle. In certe situazioni è accaduto, ma tradizionalmente preferisco il contatto visivo proprio per quella patina di divertimento di cui parlavo prima; così, oltre a sentirla, vedo la gioia dell’altro».
Quando suona il suo pensiero è rivolto alla musica che in quel momento sta creando, al pubblico o ai suoi colleghi di palco?
«Non c’è il tempo per fare tutte queste riflessioni. Penso alla musica. Dovendo improvvisare non devo distrarmi: in quel momento si sta creando e la distrazione non è permessa».
Suonare in un posto con così tanta storia come il teatro Goldoni influenza la sua performance?
«Nei teatri si respira l’energia di tutte le persone che vi sono entrate per divertirsi, stare bene, imparare, riflettere ed emozionarsi. Più un teatro è antico come il Goldoni più l’energia è avvincente. La senti appena entri sul palco».