Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Voto, la cautela dei parroci «Riflettiamo sui bisogni reali»
La svolta di don Armando: «Ho sempre scelto il Sì, non ne sono più certo»
«Di fronte a questo appuntamento vivo un momento drammatico: per tre volte ho votato sì alla separazione da Venezia. Ma ora non ne sono più certo. Mi auguro che tutti i cittadini di buona volontà facciano del loro meglio per il bene di Mestre e di Venezia, ciascuna con le sue specificità. Ma non credo che queste separazioni automatiche possano giovare». L’appartenenza di Don Armando Trevisiol al fronte dell’«indipendenza» mestrina era una certezza, ma ora che il tema referendario si ripropone, il sacerdote simbolo di Carpenedo e dell’impegno per le fasce sociali più deboli della terraferma, a 90 anni stupisce tutti e cambia rotta. «Se le città rimarranno unite – continua il sacerdote – mi auguro che il nostro Consiglio Comunale possa riconoscere che Mestre ha bisogno di autonomia. Così anche Venezia ha le sue necessità, di città che sta “affondando”. Ma pensando a Mestre devo riconoscere che, in 60 anni che sono qua, ne è stata fatta di strada. Ultimamente il Comune si è interessato di più. Mi auguro che qualsiasi sia l’esito la consultazione, possa portare migliorie per entrambe le città». Un sasso nello stagno della neutralità portata avanti dalla Curia. Il tema appartiene alle singole coscienze dei cittadini, non c’è una linea. Se non quella dello scarso entusiasmo che emerge della riflessione dei parroci. «Sono ormai veneziano d’adozione, penso che qualsiasi sarà la scelta dovrà favorire chi vive a Venezia e il futuro di questa comunità», afferma fra Riccardo Giacon parroco dei Frari. Un futuro su cui manca un reale confronto, secondo don Renato Mazzuia parroco al Lido: «Sul referendum non mi pronuncio, ma da 5 anni vivo al Lido e avverto la necessità di mettere la cittadinanza in condizione di offrire la propria opinione. Prima dell’urgenza della separazione, mi sembra necessario parlarne mettendo al centro la componente giovanile che, da Venezia e ancor più dalle isole, viene strappata via, costretta ad abbandonare la propria realtà». Un certo scetticismo scivola anche tra i parroci di terraferma. «Noi non dobbiamo essere pastori degli uni contro gli altri — afferma don Gianni Antoniazzi, parroco di Carpenedo — certo dobbiamo comprendere la profondissima distinzione tra le due città con i loro conflitti, sapendo che Mestre è figlia di Venezia. E che come capita da adolescenti si sente voglia di autonomia ma poi, superato il momento, si capisce che si può continuare a crescere insieme». E il tema dell’identità? «La realtà è più forte dei quesiti sull’identità — risponde don Natalino Bonazza, parroco di San Giuseppe — il porto, l’aeroporto, i collegamenti, gli attraversamenti, l’Università, questa è una città che sta diventando sempre più metropolitana. Avremmo un capoluogo di regione che si frammenta, con gli inevitabili conflitti che ne seguirebbero». C’è chi ne fa una questione di cuore, come don Narciso Danieli, vicario uscente di Carpenedo: «Rinunciare a Venezia sarebbe un po’ come rinunciare ad una parte della mia identità». E chi si concentrerà su altro, come il movimento dei Dialoghi per la città, portato avanti, tra gli altri, da don Fabiano Longoni: «Il tema del referendum mi sembra assai lontano dall’interesse della gente – afferma il neo parroco della Trinità – più che di una Mestr-exit, se così possiamo dire, mi sembra molto più pregnante il tema del calo demografico, dove Mestre sta ormai prendendo la piega di Venezia. E’ su questo che vogliamo chiamare al confronto i giovani della città».