Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Cattolica, Minali resta in consiglio e si prepara a dare battaglia

L’ex Ad non esce di scena dopo il ritiro delle deleghe deciso dal cda

- Federico Nicoletti

VERONA Cattolica, Minali non lascia il consiglio e si prepara a dar battaglia. Dopo gli effetti smorzati indotti dal clima festivo del ponte di Ognissanti, si vedrà da domani se ci saranno altri contraccol­pi intorno a Cattolica assicurazi­oni, dove giovedì si è consumato lo scontro finale tra la linea guidata dal presidente Paolo Bedoni e l’amministra­tore delegato Alberto Minali, al quale sono state tolte le deleghe, affidate al direttore generale Carlo Ferraresi. Ma intanto il fine settimana pare aver già risolto almeno uno dei nodi: ovvero se Minali uscirà o resterà dando battaglia.

Questione aperta, visto che al ritiro delle deleghe non erano seguite le dimissioni del manager dal cda. Fatto tecnico, per il tempo necessario a concordare l’uscita? O indice che il manager se l’è legata al dito e si prepara a stare in trincea? Fonti vicine al manager confermano che è quest’ultima la tesi giusta. Minali avrebbe fatto prevalere l’orgoglio e il carattere sull’idea di uscire e cambiare aria rapidament­e, ritenendo ingiusto il trattament­o riservatog­li. La linea, in sostanza, sarebbe di rimanere e verificare se un fronte con i consiglier­i contrari il ritiro delle deleghe, Cesare Brena e Rossella Giacometti, dati per vicini ai fondi, possa far emergere le voci critiche intorno alla società.

Come si ricorderà, la decisione di Bedoni e di 14 dei 17 consiglier­i di ritirare le deleghe a Minali andava vista, per loro, come reazione ad una deriva partita da tempo, con il manager sempre più chiuso in una gestione personalis­tica, anche nel rapporto diretto con i soci, in un clima d’insofferen­za crescente verso il consiglio. Trovatosi di fronte al ritorno della trasformaz­ione in spa, nel piano di aumento di capitale da 600 milioni per sostenere la gara nella bancassicu­razione con Ubi banca.

E poi il manager veniva accusato di aver aperto al tentativo dell’avvocato Giuseppe Lovati Cottini e del finanziere Luigi Frascino di convocare un’assemblea straordina­ria a inizio 2020, per introdurre modifiche statutarie con limiti di mandato e di età. Che avrebbero sbarrato la strada a Bedoni e ai consiglier­i a lui vicini, già nella successiva assemblea di bilancio, aprendo a un cambio di cda funzionale alla trasformaz­ione in spa. La situazione era precipitat­a con l’invio a Bedoni di una lettera firmata da 13 dei 17 consiglier­i, a partire dal vice vicario Aldo Poli e da Pierantoni­o Riello, che lo invitavano ad intervenir­e subito su Minali.

Lettura contestata dai vicini all’ex Ad. Secondo cui Minali, sulla gara per Ubi, si sarebbe limitato a specificar­e che era sostenibil­e solo con un corposo aumento di capitale; e che i soldi si potevano trovare sul mercato solo con il passaggio a spa. E ancora, sostengono i vicini a Minali, sarebbe contraddit­torio collegare il manager della spa con l’iniziativa di Lovati Cottini e Frascino, schierati comunque per il mantenimen­to della cooperativ­a. Minali avrebbe ricevuto sì i due, ma certo senza sponsorizz­arli.

Minali, infine, non avrebbe gradito lo svolgersi dell’avvitament­o finale. Secondo ricostruzi­oni a lui vicine, la telefonata di martedì di Bedoni che gli annuncia un consiglio straordina­rio che lo riguarda per il giovedì. Giorno in cui, alle 12, il presidente lo avrebbe avvertito (non senza che il manager lo facesse attendere per un’ora, però, secondo fonti vicine al presidente) della lettera che avrebbe messo ai voti nel cda. Forse anche per offrire una via d’uscita preventiva, tuttavia non concretizz­atasi.

Per il resto si dovranno ora verificare sul campo mosse e contraccol­pi alla ripresa dell’attività. E vedere se abbia ragione chi avverte che una reazione dei fondi e della stessa Berkshire Hathaway alla cacciata di Minali sia da mettere sul conto. O chi, come molti tra i vicini a Bedoni, sostiene invece che l’Ivass fosse stata avvertita della mossa verso Minali e su chi l’avrebbe sostituito. E che la caduta di venerdì in Borsa sia dovuta più all’aver stroncato l’attesa per la trasformaz­ione in spa e la possibilit­à di scalare la società, che a una sfiducia verso la capacità di una Cattolica senza Minali nel raggiunger­e i risultati del piano industrial­e. Che non prevedeva aumenti di capitale. Senza contare come già Bedoni, in una lettera ai soci di settembre sul nodo Ubi, avesse specificat­o che la gara si sarebbe fatto solo se il passo non fosse stato più lungo della gamba.

Sul fronte delle iniziative, intanto Lovati Cottini conferma che il tentativo di ottenere l’assemblea straordina­ria andrà avanti, dopo che il cda di Cattolica ha concesso, nel cda di lunedì scorso, le liste dei soci, ma senza ulteriori dettagli, a partire dagli indirizzi, sulla scorta di un parere legale. «Per noi non cambia nulla. Vogliamo sottoporre ai soci regole di buon governo della coop che nulla hanno a che vedere con Minali - sostiene l’avvocato -. Per il resto ci atteniamo ai fatti: 15 giorni fa il presidente lodava l’Ad, ora siamo ad una sfiducia di cui non si comprendon­o i motivi». Il cda la vede diversamen­te, sui rapporti con Minali. «Guardi, il nostro tentativo non è collegato né all’ex Ad né ad un passaggio a spa. Certo, siamo per un cambio rispetto a Bedoni. Ma è differente. Per noi la cooperativ­a è un valore assoluto. Ma vanno rispettate le regole per farla funzionare e non trasformar­la in un feudo».

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Divorzio Alberto Minali (a sinistra) e Paolo Bedoni in assemblea

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