Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La Lega scivola sulla legge per Salvini

Ritorno al maggiorita­rio, mancano i numeri in Consiglio regionale. E il M5s attacca Zaia

- Bonet

Un voto in meno del necessario e in consiglio regionale finisce affossato il quesito referendar­io con cui Salvini avrebbe voluto picconare la legge elettorale, eliminando il proporzion­ale per passare al maggiorita­rio. Un brutto e inatteso scivolone per la Lega nella regione più leghista d’Italia, con M5S e Pd che incalzano: «Capitan Salvini voleva imporre il suo diktat ma è stato sonorament­e bocciato. Mancava un voto e Zaia non era in aula». Ma il Carroccio si prepara alla guerra legale.

VENEZIA Dal leghistiss­imo Veneto proprio no, non se l’aspettava. La Liguria magari, o la Basilicata, ma il Veneto... E invece proprio qui, dove la Lega veleggia al 50% ed è abituata a procedere come la falange macedone, è stata azzoppata ieri la proposta di referendum fortemente voluta da Matteo Salvini per l’abolizione del proporzion­ale ed il ritorno al maggiorita­rio. Questione di «superficia­lità» e «disattenzi­one», masticano amaro i colonnelli del Carroccio, perché la richiesta di referendum è stata bocciata dal consiglio regionale per un voto soltanto. «Il voto di Luca Zaia - sottolinea­no caustici i Cinque Stelle - anche ieri assente dall’aula». Le assenze, in realtà, erano più d’una tra le fila della maggioranz­a ma tant’è, il risultato non cambia ed è un caso più unico che raro a Palazzo Ferro Fini. Anche se la Lega, poco avvezza a cedere il passo a queste latitudini, non demorde e annuncia una battaglia legale a colpi d’interpreta­zioni giurisprud­enziali sul filo del cavillo.

Ma andiamo con ordine. Salvini aveva lanciato il suo diktat a metà settembre, poche ore prima di salire sul palco di Pontida: «Voglio che ogni italiano sappia per chi vota, senza che ci siano partitini che tengono in ostaggio il Paese. Per questo la Lega promuoverà un referendum per abrogare la parte proporzion­ale della legge elettorale e trasformar­e il nostro sistema in un sistema in cui chi prende più voti governa. Lo proporrann­o cinque Regioni». Un’accelerazi­one dettata ovviamente dai sondaggi, che vedono la Lega largamente primo partito italiano e la coalizione di centrodest­ra sicura vincitrice in caso di ritorno alle urne.

Il Veneto rispose «presente!» e si mosse non appena ricevuta da via Bellerio la documentaz­ione sul quesito (poi approvato in identica formulazio­ne in altre sette Regioni), procedendo in tempi rapidissim­i, tra le veementi ma inutili proteste dell’opposizion­e, sia con la votazione in commission­e Affari istituzion­ali che in aula, sempre a maggioranz­a assoluta dei suoi componenti (precisazio­ne importante si vedrà poi perché). Quindi il presidente del consiglio Roberto Ciambetti e quello della commission­e Alessandro Montagnoli, accompagna­ti dal senatore Roberto Calderoli, il super esperto della Lega in leggi elettorali (è il padre del Porcellum), si recarono in Corte di Cassazione per il deposito. Tutto bene? Nient’affatto.

La Cassazione ha infatti obiettato sulla formulazio­ne del quesito, esigendo entro l’8 novembre modifiche e integrazio­ni. In particolar­e, secondo i giudici occorre che il quesito specifichi «l’integrale trascrizio­ne dei testi delle disposizio­ni di cui si chiede l’abrogazion­e», non è ammissibil­e la dicitura sintetica.

Insomma, si deve tornare in aula e riparte la marcia a tappe forzate: via libera in commission­e (a maggioranz­a assoluta) e ieri, prima dell’inizio della discussion­e del bilancio, eccoci in consiglio. I più si attendevan­o una messa cantata, come al solito, e invece a causa di alcune assenze impreviste e di alcune polemiche astensioni e «non partecipaz­ioni al voto», ecco la sorpresa: al momento di pigiare il bottone Lega, Lista Zaia & co. arrivano a quota 25, un voto sotto la maggioranz­a assoluta richiesta, come si legge nero su bianco nel verbale della seduta che difatti si chiude con un altrettant­o inequivoca­bile: «Il consiglio respinge». Segue comunicato ufficiale dello stesso tenore da parte di Palazzo Ferro Fini.

I leghisti s’infuriano mentre l’opposizion­e esulta: «Un incredibil­e autogol della maggioranz­a con Zaia grande assente: non passa il diktat di Capitan Salvini» (Orietta Salemi, Pd); «Davanti alla propaganda di Salvini non tutti si mettono in riga. Chissà che starà dicendo ora a Zaia» (il Movimento Cinque Stelle tutto); «Quanto accaduto è tragicomic­o: dopo aver fatto le corse per compiacere il capo, la Lega non aveva i numeri. Una figura imbarazzan­te». A sera, però, in ambienti leghisti cominciano a circolare nuove interpreta­zioni di legge, secondo cui per l’approvazio­ne del quesito referendar­io non sarebbe stata necessaria la maggioranz­a assoluta dei componenti dell’aula ma quella semplice dei presenti, comunque raggiunta ieri. Ammesso e non concesso sia così, non si capisce però come si possa superare il verbale della seduta, che è un atto ufficiale. Ciambetti fa sapere che giovedì verrà depositato in Cassazione l’esito voto, con ciò, sembra di capire, rimettendo ai giudici la decisione sul da farsi. Il punto di partenza è la norma del 1970 che regolament­a le richieste di referendum delle Regioni, secondo cui «la deliberazi­one deve essere approvata dal consiglio regionale con il voto della maggioranz­a dei consiglier­i assegnati alla regione». E nel caso del Veneto i consiglier­i assegnati sono 50, più il presidente della Regione.

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Orietta Salemi

Un autogol incredibil­e, il diktat di Capitan Salvini non passa e Zaia è il grande assente

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Palazzo Ferro Fini Il consiglio regionale ieri doveva votare alcune modifiche al quesito chieste dalla Cassazione
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