Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Sulle tracce del boss nelle terre del vino

- Randon

"SALGAREDA (TREVISO) Degustava Prosecco? Preferiva il Pinot? E chi lo sa? Per quanto il mito ha lavorato e costruito sul boss dei boss, Matteo Messina Denaro ora potrebbe anche essere astemio.

SALGAREDA (TREVISO) Degustava Prosecco? Preferiva il Pinot? E chi lo sa? Per quanto il mito ha lavorato e costruito sul boss dei boss, Matteo Messina Denaro ora potrebbe anche essere astemio, vegano, allergico al lattosio e con l’alluce valgo. Non se ne sa niente se non che latita da venti anni. Ma se gli piace il vino, nel 2014 o giù di lì, nel lato più a est del profondo Nordest, avrebbe degustato qualche bicchiere. In segreto, ospite di una cantina di Salgareda, provincia di Treviso. Di questa azienda vinicola un «pentito» dice solo che è gialla - impossibil­e sbagliarsi - e che il capo dei capi doveva starci comodo perché in realtà era sua, intestata ad un prestanome, ma sua. Come sarebbe stata sua un’altra cantina – dice sempre il pentito – quella chiamata Sant’Eufemia della quale però non specifica né il colore né il paese. «Santo subito» diceva quel mariuolo di Antonio Nicosia, l’assistente dell’onorevole radicale che con carta intestata Camera dei Deputati s’intrufolav­a nelle carceri per raccoglier­e i pizzini dei mammasanti­ssima – insomma, stando al «pentito», a Salgareda, il soggiorno del superlatit­ante ci sarebbe stato «quattro o cinque giorni».

I «testimoni di giustizia» sono come le macchie di Rorschach, ognuno può vederci il pezzo mancante o la faccia di Matteo Messina Denaro.

Qui si vede il giallo. Il signor Franco Passador, amministra­tore delegato della azienda vinicola La Dogarina di Salgareda, ha la faccia di uno che si è svegliato dal letto: «Non facciamo servizio di foresteria, non affittiamo camere e men che meno le affittiamo ai mafiosi». La sua azienda sfortunata­mente è gialla, più gialla di tutte le altre e pur sapendo che in cinque anni le mode cambiano e anche i colori, il sospetto lo ha colto impreparat­o quando ieri ha letto sui giornali le «confession­i» del pentito Emanuele Merenda. Franco Passador è «mascariato», in termini mafiosi macchiato, dalla maldicenza, dal sospetto, dal pettegolez­zo, in questo caso dal racconto di un pentito che dal carcere ha raccontato le cose che sa, quelle che non sa e altre che ha solo sentito dire o immaginato.

Salgareda non è lontana da Caorle, Eraclea è appena un po’ più in là, di Jesolo si sa. Le infiltrazi­oni mafiose a cui si riferisce risalgono al 2014. È un fermo immagine. Andarci dentro è come fare un carotaggio geologico del fenomeno mafioso in Veneto, cose che son state, che forse durano ancora sotto altre forme ma che in ogni caso non sono del presente. I protagonis­ti sono tutti in galera. Cinque anni fa, tuttavia, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta erano vispe e intraprend­enti, avevano mani dappertutt­o: stando al pentito i suoi uomini gestivano il traffico della droga, il mercato del «pizzo» - paghi perché ti proteggo, se non paghi chi ti protegge da me? – erano negli appalti, nelle sale da gioco, nella grande e piccola distribuzi­one, travestiti da benzinai, o in servizio di carro attrezzi in soccorso degli automobili­sti.

Erano anche nei vini? Chissà. L’azienda vinicola con la colpa del giallo è passata di mano in quegli anni, nel 2016 esattament­e, quando la famiglia Tonus – gli allora proprietar­i – litigò, suocero e genero non andavano più d’accordo, la figlia diede forfait e alla fine subentrò l’attuale proprietà. Nella storia dell’azienda c’è anche una lite con il fisco per certe fatture - Iva non pagata per 500 mila euro– e agli atti risulta anche la storia delle cinque autocister­ne di prosecco spedite in Calabria e mai pagate: 10 mila euro di bollicine ordinate dal nipote del boss Nicolino, certo Grande Aracri, e svaporate nell’insoluto di cui La Dogarina si è dichiarata parte offesa in tribunale. Liti in famiglia, Iva evasa e ordini insoluti sono vicende di una banale seppur sfortunata storia imprendito­riale. Niente che autorizzi dell’altro se non un colore, il giallo.

Mascariati di giallo sono tutti, la Mafia che c’era e forse non c’è più, come la lascia l’alone. Il più macchiato quello che più di altri avrebbe l’interesse a smentire - non si trova. Parliamo di Vincenzo Centineo, il tizio che avrebbe confidato al compare Merenda «io so che Matteo Messina Denaro stava nascosto per quattro giorni in una azienda vinicola di colore giallo», è lui, un signore che oggi ha 69 anni, ad essere il più mascariato. Eppure nessuno lo ha mai cercato, né risulta che la magistratu­ra gli abbia mai chiesto conferme dell’indiscrezi­one su Messina Denaro. Centineo vive a Ceggia, ultimo domicilio conosciuto in via San Francesco . «Vincenzo il poliziotto?». No, quello che sta dall’altra parte. «Ah, allora non lo conosco». A Ceggia nessuno lo conosce. C’è la cassetta postale con le lettere che marciscono sotto la pioggia, ci sono le fatture, le multe non pagate, persino il richiamo del dentista. Ma lui è sparito. La magistratu­ra di Palermo non lo chiama, quella di Venezia non lo ritiene attendibil­e, persino il suo avvocato sembra non saperne niente. Così, con il carotaggio del passato, viene su l’ineffabile presente.

"Centineo Io so che Matteo Messina Denaro stava nascosto per quattro giorni in una azienda vinicola di colore giallo

"Passador Non facciamo servizio di foresteria, non affittiamo camere e men che meno le affittiamo ai mafiosi

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